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Si dice spesso che adottare un animale domestico aiuti a combattere stress e ansia. Michelle Lam ci ha creduto davvero, e in un momento di crisi personale ha deciso di accogliere in casa una gattina. Un gesto pieno di buone intenzioni, certo, ma che si è trasformato in una situazione degna di una sitcom: alla fine, il gatto è diventato più ansioso della padrona.
La micetta in questione si chiama Suki, ed è stata amore a prima vista. Occhi grandi, musetto tenero, un’aria fragile che rispecchiava perfettamente lo stato d’animo della sua nuova proprietaria. Tutto sembrava perfetto. Ma la realtà dei fatti si è rivelata un po’ più pelosa del previsto.
Suki, infatti, non è il tipo di gatto da coccole e pigrizia sul divano. Appena sente un rumore sospetto o arriva un ospite, si dilegua alla velocità della luce e si rifugia in cantina. Le interazioni sociali non fanno per lei. Anche Michelle ha ammesso che si tratta di un affetto un po’ forzato, più vicino alla convivenza tra coinquilini timidi che a quella idilliaca tra umano e felino.
Convivere con un gatto ansioso non è esattamente rilassante, specie se lo hai scelto per diminuire il tuo livello di stress. Così Michelle ha pensato che la soluzione potesse essere… un altro gatto. Una scelta che suona più come raddoppiare l’incognita che risolvere il problema.
Kabuki è entrato in casa qualche mese dopo, con la speranza che facesse compagnia a Suki e l’aiutasse ad aprirsi un po’. Ma come spesso accade nei rapporti, soprattutto tra felini territoriali, il lieto fine non è scontato. I due gatti si tollerano a giorni alterni, e la loro relazione va a fasi alterne tra indifferenza glaciale e malcelata ostilità.
Michelle, nel frattempo, cerca ancora quel sollievo emotivo promesso da articoli e studi sulla pet therapy. Sì, perché gli animali sono ottimi compagni, ma non sono magici. A volte hanno anche loro le loro piccole nevrosi e paure, e non sempre sono pronti a fare da terapeuti a due zampe.
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La verità è che la pet therapy funziona, ma con pazienza. Michelle lo sa bene: anche se la sua gatta è un po’ timorosa e l’altro non è esattamente un mediatore felino, alla fine quelle presenze pelose hanno un valore. Basta guardarli dormire, litigare per il divano o inseguire mosche immaginarie per sentirsi, se non proprio meglio, almeno un po’ più accompagnati. Forse la pet therapy non ha guarito l’ansia di Michelle né quella dei suoi gatti, ma ha creato un microcosmo fatto di imperfezioni, miagolii e silenzi condivisi. E in fondo, quando si vive con creature così imprevedibili, impari anche a non prendere troppo sul serio le aspettative. Anche quelle terapeutiche.
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