Vogliamo imparare a usare i FEMMINILI PROFESSIONALI? Il femminile di architetto è ARCHITETTA e non c’è niente da ridere!! Passeggiavo lungo i viali di Villa Dora Pamphilj a Roma e mi sono imbattuta in una segnaletica, una targa che indicava il nome del viale dedicato a Plautilla Bricci, architettrice o meglio architetta. Il mio ragazzo ha cominciato a sfottere. Diceva che architetta non si può sentire perché contiene la parola tetta e non è rispettabile. Ma perché non dovrebbe essere rispettabile??? Anche la parola pompiere è imbarazzante se ci si pensa. Ma in realtà nessuno ci fa caso e quello del pompiere è, ovviamente, un mestiere rispettabilissimo. Il problema non è nelle parole ma nella testa della gente. Le parole modellano la realtà. Se dico architetto per riferirmi a una donna sto inconsciamente avvallando la tesi che una donna architetto non esiste. Libertà di scelta sacrosanta di usare la declinazione del job title preferita. Parlo solo per quelle persone che scelgono di usare il femminile e si devono sentire prendere in giro da chi non capisce che
1. È la grammatica italiana che lo stabilisce
2. Che si tratta solo di farci l’orecchio e dopo un po’ non sembrerà più così strano dire architetta o medica o avvocata.
Pace.
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La nostra fan ha deciso di condividere un episodio che per molti potrebbe sembrare banale, ma che invece tocca una questione importante e attuale: l’uso dei femminili professionali nella lingua italiana. Tutto è nato da una passeggiata lungo i viali di Villa Doria Pamphilj a Roma, dove ha notato una targa dedicata a Plautilla Bricci, indicata come “architettrice” o, come lei preferisce, “architetta”.
Il problema è sorto subito dopo, quando il suo ragazzo ha iniziato a prenderla in giro, ironizzando proprio sulla parola “architetta”, che a suo dire suonerebbe ridicola per via della sua assonanza con “tetta”. Una reazione che la nostra amica ha trovato non solo immatura, ma anche profondamente sintomatica di un atteggiamento culturale che troppo spesso tende a sminuire le battaglie legate al linguaggio, come se fossero sciocchezze.
Secondo lei, non è certo la parola ad essere poco rispettabile, ma l’atteggiamento di chi la deride. E fa un esempio calzante: anche la parola “pompiere”, se presa fuori contesto, potrebbe sembrare ridicola, ma nessuno osa metterne in discussione il rispetto e la dignità del mestiere. Perché? Perché ci siamo abituati a sentirla.
Ed è proprio questo il punto su cui vuole insistere: il problema non è nella lingua, ma nella testa delle persone. Le parole non sono neutre, ma costruiscono la realtà. Se si continua a usare solo il maschile per indicare ruoli professionali importanti, si finisce per rafforzare, anche inconsciamente, l’idea che certe professioni siano appannaggio esclusivo degli uomini. Dire “architetta”, “medica”, “avvocata” non è un capriccio, ma un modo per rendere visibile ciò che per troppo tempo è rimasto invisibile.
La nostra follower non pretende che tutti si adeguino, ma chiede rispetto per chi sceglie di usare il femminile. Non si tratta di un’imposizione, ma di un’opportunità per rendere la lingua più equa, più rappresentativa e, semplicemente, più giusta. Perché, come scrive lei, è la grammatica italiana a prevedere il femminile e basta solo farci l’orecchio.
Pace, sì. Ma con consapevolezza…e forse con troppa ansia?
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