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In Australia è entrata in vigore una nuova legge sul “diritto alla disconnessione” che consente ai lavoratori di non rispondere a telefonate o email di lavoro al di fuori dell’orario lavorativo. Questa norma è stata introdotta per ristabilire il confine tra vita privata e professionale, specialmente dopo l’aumento dei contatti tra datori di lavoro e dipendenti durante la pandemia, grazie alla diffusione del lavoro da casa e all’uso degli smartphone. L’obiettivo è tutelare i lavoratori da situazioni di stress e burnout, spesso causate dalla continua disponibilità richiesta dal datore di lavoro.
La legge, che fa parte del Fair Work Act, conferisce ai dipendenti il diritto di rifiutare comunicazioni non urgenti al di fuori delle ore lavorative, a meno che non sia considerato “irragionevole” non rispondere. La protezione si applica inizialmente ai dipendenti pubblici e, a partire dall’agosto dell’anno prossimo, anche ai lavoratori delle piccole imprese, coprendo così la maggior parte dei dipendenti nel Paese. Sebbene la legge non vieti ai datori di lavoro di contattare i dipendenti, stabilisce che non possono punire chi sceglie di non rispondere.
Nonostante le buone intenzioni della normativa, ci sono delle preoccupazioni riguardo alla sua applicazione e interpretazione. La legge elenca vari fattori da considerare per determinare la ragionevolezza di un contatto, come l’urgenza della questione e la responsabilità del dipendente. Questa flessibilità potrebbe portare a interpretazioni diverse a seconda del contesto lavorativo, creando potenziali complicazioni per i dipendenti. Inoltre la legge richiede ai dipendenti di presentare reclami formali in caso di contatti ritenuti irragionevoli, il che può risultare difficile a causa delle dinamiche di potere esistenti nei luoghi di lavoro. Se il reclamo viene accolto, la Fair Work Commission può intervenire e sanzionare il datore di lavoro, ma non è garantito che il dipendente riesca a far valere i propri diritti.
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Le critiche alla legge provengono da vari settori, tra cui gruppi imprenditoriali e partiti politici che temono che questa normativa possa creare confusione e ridurre la flessibilità lavorativa. Tuttavia esperti come la professoressa Gabrielle Golding ritengono che la legge possa aprire un dibattito importante sulla salute mentale dei lavoratori e portare a una riconsiderazione delle dinamiche lavorative, sottolineando che la disponibilità costante non è un prerequisito per il successo professionale e può avere conseguenze negative sia per i dipendenti sia per le aziende stesse.
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