Fonte: Pixabay
Chi vive con un cane ha spesso l’impressione che il proprio amico a quattro zampe capisca perfettamente quando è triste, felice o turbato. Ma questa empatia apparente ha una base scientifica? Studi recenti condotti da neuroscienziati e psicologi cognitivi confermano che i cani hanno sviluppato, nel corso dell’evoluzione, abilità cognitive e sociali straordinarie che li rendono sensibili ai segnali umani.
Ovviamente i cani non leggono letteralmente nel pensiero, ma sono in grado di cogliere emozioni, intenzioni e stati mentali con una precisione sorprendente. Sono sensibili ai suoni vocali umani, in particolare a quelli con forte carica emotiva. Uno studio con risonanza magnetica funzionale (MRI) ha dimostrato che il cervello dei cani presenta un’area specializzata, analoga a quella degli esseri umani, che risponde selettivamente alla voce. Suoni come pianto, risate o urla attivano in particolare l’amigdala e la corteccia uditiva, regioni coinvolte nel riconoscimento delle emozioni.
Non solo. I cani sono anche in grado di decifrare le espressioni facciali umane. Quando guardano il volto del proprio proprietario, soprattutto in stato emotivo positivo, si attivano aree cerebrali legate alla ricompensa e al legame sociale. Questo dimostra che la loro risposta non è solo automatica, ma motivata da una vera connessione affettiva.
Un’altra scoperta importante riguarda il contagio emotivo, ovvero la capacità di condividere uno stato d’animo osservando un altro individuo. Nei cani, questo si manifesta anche a livello fisiologico: uno studio ha registrato la sincronizzazione del battito cardiaco tra cane e proprietario durante situazioni stressanti. Il fenomeno dimostra che i cani non solo riconoscono gli stati emotivi umani, ma li “sentono” e li vivono nel proprio organismo. È una forma di empatia primitiva, ma concreta.
Uno degli esperimenti più noti sul legame cane-uomo è quello relativo allo scambio di sguardi. Quando un cane guarda negli occhi il proprio proprietario, in entrambi i soggetti si verifica un aumento dei livelli di ossitocina, un ormone che favorisce l’attaccamento sociale e la fiducia.
Questo meccanismo è molto simile a quello osservato tra madre e bambino. È interessante notare che questo effetto non si osserva nei lupi, nemmeno se cresciuti fin da cuccioli a stretto contatto con l’uomo. Ciò suggerisce che questa capacità sia frutto di una selezione evolutiva avvenuta durante la domesticazione.
Il concetto di teoria della mente si riferisce alla capacità di attribuire pensieri, conoscenze o intenzioni a un altro individuo. Anche se i cani non possiedono una teoria della mente complessa come quella degli umani, mostrano comportamenti compatibili con una comprensione rudimentale delle intenzioni altrui.
Un esempio classico è il test del “Guesser–Knower”: un cane osserva due persone, una delle quali ha visto dove viene nascosto un bocconcino, mentre l’altra no. Quando entrambe indicano due possibili nascondigli, la maggior parte dei cani sceglie di seguire l’indicazione di chi ha realmente assistito alla scena. Questo comportamento implica una forma di inferenza su ciò che l’altro “sa” o “non sa”.
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Le ricerche indicano che molte delle abilità sociali dei cani sono geneticamente predisposte e presenti già nei cuccioli, prima di un addestramento formale. Ciò significa che la domesticazione ha selezionato tratti cognitivi specifici, come la cooperazione, la sensibilità agli indizi sociali e la disponibilità a interagire con l’essere umano. In altre parole, i cani sono stati “modellati” dall’evoluzione per essere partner sociali degli esseri umani: la loro mente è in parte predisposta per capire e rispondere al nostro comportamento.
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