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La storia di Chris mette in evidenza una situazione comune in molti ambienti lavorativi: la discrepanza tra le richieste dei dipendenti di adottare lo smart working e la reticenza dei datori di lavoro ad accettarle. Mentre alcuni dipendenti vedono nel lavoro da remoto un’opportunità per ottimizzare il loro tempo e migliorare il rendimento, alcuni datori di lavoro possono essere restii a concederlo, preferendo la presenza fisica in ufficio. Nel caso di Chris, la frustrazione per il divieto di lavorare da casa ha portato a un atto di “vendetta” nei confronti del suo capo.
Il ragazzo sosteneva infatti che lavorare in smart working gli avrebbe permesso di migliorare il suo rendimento e ottimizzare il suo tempo, eliminando quello perso per spostarsi. Ma il capo non era dello stesso parere. E così ecco che ha cancellato le app di comunicazione dal suo telefono e il capo non è riuscito a contattarlo per una questione urgente. Chris ha raccontato: “Mi è stato detto recentemente che non posso lavorare da casa, anche se in realtà faccio tutto da remoto, e mi vogliono in ufficio. Quindi, ho cancellato Teams e l’app della mail dal mio telefono. Il mio capo ha provato a chiamarmi ieri sera per una cosa urgente, e non è riuscito a raggiungermi. Mi ha chiesto perché e io gliel’ho detto che stavo facendo ciò che mi era stato ordinato, ovvero non lavorare quando sono a casa”.
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Questa azione ha suscitato reazioni sorprendenti, con migliaia di persone che hanno condiviso le proprie esperienze simili e strategie per affrontare situazioni simili. Una situazione che mette in evidenza l’importanza dello smart working nel panorama lavorativo moderno, soprattutto considerando i cambiamenti provocati dalla pandemia di COVID-19. Molti dipendenti hanno sperimentato i benefici del lavoro flessibile e sono riluttanti a rinunciarvi. Tuttavia alcuni datori di lavoro sembrano essere più tradizionalisti e resistere al cambiamento ed ecco che si creano questi problemi.
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