Fonte: Pexels
Un tempo bastava una firma in calce, oggi basta un messaggio con doppia spunta blu. Il Tribunale di Catanzaro ha stabilito che anche ciò che scriviamo nelle chat può avere valore legale in caso di separazione o divorzio. Un passo che potrebbe cambiare radicalmente il diritto di famiglia, e forse anche il modo in cui scriviamo “ti amo” (o “non ti sopporto più”) sullo smartphone.
Il caso nasce da un ex marito che, via chat, si era impegnato a pagare interamente il mutuo della casa coniugale, mentre la ex moglie accettava di rinunciare all’assegno di mantenimento. Un accordo apparentemente informale, ma che per i giudici è bastato a ribaltare tutto: revocato un decreto ingiuntivo da 21 mila euro che prevedeva che lei rimborsasse metà delle rate del mutuo.
Secondo i giudici, la conversazione costituiva un “principio di prova scritta”. E poiché i rapporti tra le parti erano troppo tesi per formalizzare un contratto cartaceo, la chat è stata considerata valida. Insomma, anche uno screenshot può ora “cantare” come un documento firmato. Ma la decisione apre un fronte delicato.
Leggi anche: “Ho chiesto un accordo prematrimoniale e lei ha smesso di parlarmi”
Se le chat diventano prove legali, qualunque messaggio – da “ci penso io al conto” a “tieniti la casa” – potrebbe trasformarsi in un vincolo contrattuale. Il rischio? Che i tribunali diventino archivi di vecchie conversazioni, con giudici costretti a interpretare emoji, abbreviazioni e stati d’animo digitali. Una rivoluzione giuridica in 4G, dove “scrivere di pancia” può avere più conseguenze di quanto si immagini.
Share