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L’effetto nocebo è un fenomeno psicologico che si verifica quando la convinzione che qualcosa sia dannoso per l’organismo produce realmente sintomi negativi che portano ad un malessere.
Definito “il gemello malvagio” dell’effetto placebo, che si verifica quando aspettative positive portano benefici non spiegabili da una causa biologica, il nocebo dimostra quanto la mente possa influenzare in maniera negativa la salute fisica. Oggi, in un contesto dominato dalla sovraesposizione ai media, dai social network e da una crescente sfiducia nei confronti della medicina, il nocebo non è più una curiosità clinica: è un tema centrale nella medicina contemporanea. Secondo studi recenti e casi documentati, le aspettative negative nei confronti di un farmaco o di una terapia, possono non solo amplificare effetti collaterali ma anche generare nuovi sintomi, influenzati dall’ambiente sociale, dalla comunicazione medico-paziente e perfino dalle opinioni di amici e parenti.
Il termine “nocebo” è stato introdotto nel 1961 dal medico Walter Kennedy per indicare reazioni sul fisico indotte da aspettative negative, anche in assenza di un principio attivo. Tra i casi storici emblematici c’è quello del cosiddetto “June Bug” negli Stati Uniti, verificatosi nel 1962 in una fabbrica tessile. Decine di lavoratori iniziarono a manifestare sintomi come nausea, vertigini e desquamazione della pelle, attribuiti a un misterioso insetto mai identificato. L’indagine dei Centers for Disease Control (CDC) non trovò alcuna base biologica per i disturbi, concludendo che si trattava di una reazione psicogena di massa. Questo episodio evidenziò come la suggestione collettiva possa generare sintomi reali, anche in assenza di un agente nocivo.
Le moderne neuroscienze confermano che l’effetto nocebo ha basi biologiche tangibili. Aspettative negative possono attivare le stesse aree cerebrali coinvolte nella percezione del dolore, come la corteccia prefrontale, l’insula e l’ippocampo. Inoltre, si registra un aumento di neurotrasmettitori come la colecistochinina, che potenzia la sensibilità al dolore. I sintomi indotti possono includere mal di testa, nausea, dolori muscolari, insonnia e disturbi gastrointestinali, anche in assenza di una reale patologia o di un principio attivo. Questo spiega perché alcuni pazienti riportano effetti collaterali gravi durante le sperimentazioni cliniche, pur assumendo solo sostanze inerti.
Uno degli aspetti più sorprendenti dell’effetto nocebo è la sua capacità di diffondersi socialmente. Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università del New South Wales, in Australia, osservare altre persone che sperimentano dolore può aumentare la propria sensibilità al dolore, anche quando lo stimolo è identico. Questo meccanismo, detto “trasmissione sociale del dolore”, è particolarmente rilevante nell’era dei social media, dove i racconti di esperienze negative con farmaci o vaccini possono propagarsi rapidamente e amplificare la percezione collettiva di rischio.
Uno altro studio ha evidenziato come le opinioni di familiari e amici possano contribuire significativamente allo sviluppo del nocebo: se una persona viene continuamente esposta a preoccupazioni o racconti negativi sul proprio stato di salute o su una terapia, è più probabile che sviluppi sintomi coerenti con quelle aspettative.
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Una comunicazione bilanciata e positiva, focalizzata sui benefici attesi piuttosto che sugli effetti collaterali, può aiutare a ridurre il rischio di indurre un effetto nocebo. Allo stesso tempo, è importante non cadere nella censura o nell’omissione delle informazioni, ma trovare un equilibrio tra trasparenza e rassicurazione.
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