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Se vi sembra di lavorare sempre ma di concludere poco, non è un’impressione: il problema non è il lavoro in sé, ma le 275 interruzioni giornaliere che ci travolgono tra chat, email, call e notifiche varie. Lo rivela il Work Trend Index 2025 di Microsoft, che ha coinvolto 31.000 dipendenti in tutto il mondo. Il risultato? Le nostre giornate sono diventate “infinite”, non tanto per le ore passate davanti allo schermo, quanto per la frammentazione continua che ci impedisce di concentrarci davvero.
Ogni bip del cellulare o alert di Teams spezza la concentrazione come un coltello nel burro. E se un tempo il multitasking era il mantra dei manager, oggi scopriamo che è più un mito che un talento. Ogni cambio di attività costa caro: fino al 40% di efficienza in meno. E non stupisce che un terzo dei lavoratori dichiari di non riuscire più a tenere il passo rispetto a cinque anni fa.
Le interruzioni non si fermano neppure quando chiudiamo il laptop: in media, un dipendente invia o riceve 58 messaggi istantanei fuori orario, un aumento del 15% rispetto all’anno precedente. L’effetto collaterale è evidente: lo spazio mentale si riempie, il tempo libero evapora e la sensazione di urgenza diventa cronica.
L’iperconnessione ha trasformato la giornata lavorativa in un flusso continuo senza confini. Secondo Clutch, startup italiana di HR, il problema è anche culturale: serve “ripensare il tempo come leva”, cioè imparare a gestirlo come una risorsa strategica, non come una condanna.
Gli esperti suggeriscono di difendere il tempo di concentrazione pianificando blocchi orari senza distrazioni (magari con la famosa “Tecnica del pomodoro”), e di rallentare i flussi comunicativi introducendo “quiet hours” o tempi di risposta meno immediati.
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Infine, serve imparare la meta-comunicazione: dire chiaramente a colleghi e clienti quando e come si può essere contattati. Non è scortesia, è sopravvivenza digitale. In fondo, la tecnologia ci controlla solo se glielo permettiamo. Se invece siamo noi a decidere le regole del gioco, potremmo finalmente scoprire che lavorare meno distratti non è un’utopia, ma una scelta.
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