Colori proibiti e mummie in barattolo: i pigmenti più strani custoditi ad Harvard

La biblioteca dei colori più rari del mondo sembra più un laboratorio di CSI che un museo

 

Certo, oggi basta un clic per ottenere qualunque sfumatura immaginabile. Tra software, Pantone e vernici industriali, il colore è diventato una questione di algoritmo. Ma se ci spostiamo qualche secolo indietro, ottenere un blu intenso significava spesso scavare miniere in Afghanistan o fare affari poco chiari con mummie egizie. Letteralmente.

Ad Harvard esiste una collezione che raccoglie tutte queste follie cromatiche: si chiama Forbes Pigment Collection e conserva oltre 2.500 pigmenti rari, strani, tossici o semplicemente geniali. La raccolta fu creata dallo storico dell’arte Edward Forbes, che tra un quadro e l’altro si è messo a collezionare colori come fossero francobolli radioattivi.

Pigmenti rari e storie bizzarre: il lato oscuro del colore

Ci sono pigmenti che derivano da insetti, come la lacca ottenuta da scarabei, altri che vengono estratti da minerali rari e tossici, come il verde di arsenico. E poi c’è lui: il marrone mummia, che veniva letteralmente ricavato da resti umani. Altro che colori a base acqua. Oggi nessuno lo produce più, per fortuna, ma il barattolo è ancora lì, testimone silenzioso di una moda cromatica piuttosto macabra.

Oggi la collezione viene gestita dal dottor Narayan Khandekar presso il centro di conservazione di Harvard. La sua missione? Usare i pigmenti per indagini scientifiche sull’autenticità delle opere d’arte. Non usa la lente d’ingrandimento, ma spettroscopia Raman, spettrometria di massa, gascromatografia. Insomma, un CSI del colore, ma senza impronte digitali.

Colori che raccontano bugie (e svelano falsi d’autore)

Un caso emblematico: un presunto dipinto di Jackson Pollock scoperto nel 2007. Bello, astratto, apparentemente autentico. Peccato che l’analisi del colore abbia trovato tracce di Red 254, una sfumatura di rosso nota come “Ferrari red”, prodotta solo dopo il 1974. Pollock, dettaglio non irrilevante, era morto nel 1956. Caso chiuso.

Questa capacità di riconoscere i pigmenti non serve solo a smascherare i furbetti del mercato dell’arte. Aiuta anche a capire come gli artisti contemporanei mescolino materiali impensabili nei loro lavori. Non solo pigmenti: plastica, cibo in scatola, silicone. La scienza della conservazione deve stare al passo con la creatività.

Arte, pigmenti e un tocco di archeologia chimica

Il bello è che ogni pigmento ha una storia. E non parliamo solo della provenienza. Ogni barattolo racconta epoche, tecnologie, ossessioni. Dall’ultramarino, un tempo più prezioso dell’oro, al viola imperiale vietato ai comuni mortali, passando per il blu di Prussia nato da un errore chimico.

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Grazie alla collezione di Harvard, il colore diventa uno strumento di lettura del passato. E anche se oggi possiamo scegliere con un clic tra “verde menta 6B” e “grigio nube industriale”, sapere che c’è chi ha rischiato l’avvelenamento per ottenere un giallo più brillante dà un senso tutto nuovo alla parola “arte”.

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