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Chi ha vissuto con un genitore “spugna” sa bene cosa significhi entrare in casa e captare subito l’atmosfera, come un meteorologo emotivo. Bastava un sospiro, una porta chiusa un po’ più forte del solito, e il tuo umore si adattava di conseguenza. L’aria era carica di emozioni non dette, ma ben percepite. E spesso, il bambino finisce per interiorizzare tutto questo, senza capire se sta provando le sue emozioni o quelle dell’altro.
Il genitore ipersensibile non è una figura negativa per forza: spesso è affettuoso, generoso, persino creativo. Ma se non riesce a gestire le proprie emozioni, finisce per riversarle su chi ha meno strumenti per difendersi: i figli. E così, si cresce sentendosi in dovere di regolare il clima emotivo familiare, come se si fosse responsabili di tutto quello che accade.
Una delle dinamiche più comuni è l’inversione dei ruoli. Il bambino che consola, che ascolta, che diventa la spalla del genitore. Un adulto in miniatura, che impara presto a mettere da parte i propri bisogni per “non disturbare”. Frasi come “sei l’unico che mi capisce” suonano dolci solo in superficie, ma dietro c’è un peso emotivo che nessun bambino dovrebbe portare.
Il problema è che, a lungo andare, questo tipo di comportamento viene interiorizzato. Diventa normale essere sempre disponibili, sempre comprensivi, anche a costo di ignorare se stessi. E poi ci si ritrova adulti, stanchi di sentirsi spugne umane che assorbono il malessere altrui, ma incapaci di staccare la presa.
Le conseguenze non si limitano all’infanzia. L’adulto cresciuto con un genitore spugna è spesso iperempatico, anticipa i bisogni degli altri, si accolla tensioni non sue. Ha difficoltà a dire di no, vive relazioni sbilanciate e si sente in dovere di risolvere ogni situazione. Peccato che nel frattempo i suoi desideri e bisogni restino in secondo piano, se non del tutto ignorati.
Questa ipersensibilità può essere una risorsa, certo, ma solo se si impara a gestirla. Perché non si può salvare il mondo a costo della propria salute mentale. Anche gli adulti più empatici hanno il diritto di respirare, di non essere sempre disponibili, di dire “oggi no”.
Per fortuna, uscire da questo circolo vizioso è possibile. Serve innanzitutto riconoscere che non si è responsabili delle emozioni altrui. Poi è utile imparare a distinguere ciò che si prova davvero da ciò che si assorbe. Un diario emotivo, per esempio, può essere uno strumento semplice ma efficace per allenarsi a riconoscere le proprie sensazioni.
E no, non è egoismo voler stare un po’ per conto proprio, mettere dei confini, dire a qualcuno che oggi non si ha l’energia per ascoltare. È salute mentale. E per chi ha vissuto anni ad assorbire tutto, imparare a lasciar andare è una forma di guarigione.
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Essere cresciuti con un genitore spugna non è una condanna, ma un’eredità emotiva da rielaborare. Si può essere sensibili, empatici, presenti… ma senza dimenticare se stessi. La chiave sta nel trovare un equilibrio tra ascoltare l’altro e restare fedeli a sé. Non si tratta di cambiare la propria natura, ma di usarla in modo consapevole e protetto. E magari, ogni tanto, concedersi anche il lusso di essere impermeabili.
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