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C’era una volta lo “sbrocco”. Ora si chiama crashing out e ha tutto il fascino dei neologismi che spuntano online, si moltiplicano su TikTok e poi finiscono anche nelle aule scolastiche. Il significato però è rimasto più o meno lo stesso: una reazione emotiva eccessiva, spesso legata a un accumulo di stress o disagio psicologico che esplode tutto in una volta.
Nel linguaggio della Generazione Z, crashing out è diventato il termine perfetto per raccontare quelle volte in cui si perde completamente il controllo. Non serve più dire “non ce la faccio” o “sto impazzendo”. Basta un video da 15 secondi in cui si confessa di aver urlato in faccia al professore, mollato il lavoro senza preavviso o messo fine a una relazione con un messaggio laconico.
I video con hashtag come #crashingout o #icrashed hanno superato milioni di visualizzazioni. Ragazze e ragazzi si raccontano senza filtri, spiegando perché a un certo punto hanno semplicemente smesso di trattenersi. Il tono è spesso ironico, ma il contenuto rivela una fatica emotiva molto reale.
Non a caso, la rivista American Speech ha incluso crashing out nel suo dizionario dei nuovi termini, definendolo come una perdita di autocontrollo dovuta a frustrazione o esaurimento. Nel 2024 si è classificato al secondo posto tra i neologismi più rilevanti, subito dopo rawdog, altro termine colorito che indica comportamenti impulsivi e senza filtri.
Crashing out non è solo un’etichetta per momenti di rottura, ma diventa un modo per identificarsi. Un linguaggio emotivo in miniatura, come brat o demure, che permette ai giovani di raccontare chi sono e come si sentono, usando codici condivisi. Una sorta di dizionario sentimentale digitale, dove ogni parola serve a dare un nome al caos interiore.
In alcune scuole statunitensi, gli insegnanti riferiscono che ormai espressioni come “sto per crashare” sono all’ordine del giorno. Non è solo slang da social, ma un indicatore (anche piuttosto chiaro) di uno stato mentale non proprio rilassato. Quando uno studente dice che un compito lo farà crashare, spesso non è solo una battuta.
Il termine crashing out circolava già online più di dieci anni fa, in particolare su Twitter. Alcuni lo associano al linguaggio afroamericano e alla scena musicale rap, in particolare al lessico del rapper YoungBoy Never Broke Again. Ma come sempre accade nel mondo digitale, è quasi impossibile attribuire una paternità certa a parole che si muovono alla velocità della luce.
Secondo la linguista Kelly Elizabeth Wright, il linguaggio oggi si evolve su scala globale come mai prima d’ora. Crashing out è solo uno dei tanti esempi di come i social riescano a trasformare un modo di dire in una categoria emotiva condivisa, con buona pace dei puristi della lingua.
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Oggi crashing out è uscito dagli schermi ed è entrato nel parlato quotidiano di chi ha vent’anni o poco più. Alcune creator raccontano che è diventato il modo più immediato per descrivere uno stato d’animo che prima non aveva nome. Non si dice più “sto impazzendo”, ma “sto crashando”, come se si fosse un software che va in tilt. E forse è proprio questo il punto: chiamarlo crashing out serve a dare dignità e forma a un disagio reale, ma anche a renderlo raccontabile. Perché a volte basta una parola nuova per sentirsi meno soli, anche se si tratta di uno sbrocco fatto e finito.
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