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Cosa rende interessante una persona agli occhi di un criminale, al punto da trasformarla nel proprio bersaglio? Un affascinante esperimento condotto nel 1981 a New York ha risposto a questo interrogativo, svelando esiti inaspettati: ecco cosa sapere. A influire in maniera sorprendente sulla probabilità di diventare la vittima di un malintenzionato è la comunicazione non verbale. I sociologi Betty Grayson e Morris Stein installarono una videocamera nei pressi di un affollato marciapiedi della metropoli.
Le registrazioni si protrassero per i tre giorni successivi, dalle dieci a mezzogiorno. I filmati, poi, furono fatti visionare a un gruppo di detenuti reclusi per crimini violenti. Ai carcerati, nella fattispecie, fu chiesto di assegnare un punteggio da 1 a 10 in base alla difficoltà con cui ritenevano di riuscire ad assalire ogni passante. Contrariamente a quanto ipotizzato dagli studiosi, fattori come età, genere ed etnia non risultano determinanti nella scelta della propria preda. A influire in maniera preponderante, infatti, è il linguaggio del corpo.
Ai criminali che hanno visionato i filmati è bastata una media di appena 7 secondi per individuare le vittime ideali. I criteri di una valutazione tanto repentina sono stati la velocità del passo, la coordinazione degli arti e l’andatura. Muoversi troppo lentamente o troppo velocemente potrebbe destare l’attenzione di malintenzionati, comunicando ansia, timore e nervosismo.
Anche movimenti scomposti, come distribuire il peso in modo sbilanciato o strascicare i piedi, sono elementi che denotano vulnerabilità, poiché potrebbero indicare smarrimento o eventuali problemi fisici. Attenzione anche all’effetto sorpresa: i malitenzionati tendono a cogliere alla sprovvista le proprie vittime, prediligendo passanti distratti.
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Guardarsi intorno, quindi, è un ottimo modo per captare eventuali minacce, prevenire rischi ed essere pronti ad anticipare le mosse dell’eventuale aggressore.
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