Dare la bella notizia al capo

“Ciao a tutti mi chiamo Simona e voglio condividere con voi ciò che sto vivendo in questo periodo. Sono sempre stata una grande lavoratrice, e da diciassette anni lavoro per un’azienda per cui ho dato tutto quello che potevo, fisicamente e anche emotivamente. Ho Cercato di fare al meglio il mio dovere ma non solo, sono andata oltre e mi sono presa a cuore gli affari dell’azienda come se fosse mia. Ho molta confidenza con il mio titolare, Enrico, che ha sempre fatto affidamento su di me per molte questioni importanti. Avete presente il classico capo che non vive per nient’altro se non per la sua creatura, cioè l’azienda? Quello che usa la retorica del “siamo come una famiglia? Ecco. Proprio sulla questione famiglia (quella vera, intendo), molte aziende sembrano avere le idee mooolto confuse! Enrico, per esempio, era il classico “padre assente”, se dobbiamo pensare alla metafora della famiglia, ma pretendeva che fosse tutto in ordine anche mentre navigavamo a vista a causa di molteplici crisi che abbiamo vissuto. Ho sempre rimandato la questione figli per paura di non poter essere poi presente al cento per cento a lavoro. Ma arrivata alla soglia dei quaranta ho deciso che era il momento per creare una famiglia mia. Da quando ho detto al capo di essere incinta però le cose sono cambiate…”

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Simona racconta la sua lunga dedizione professionale, un impegno di diciassette anni in un’azienda alla quale ha dato molto, sia in termini di lavoro che di emozioni. Ha sempre cercato di andare oltre i suoi doveri, trattando gli affari dell’azienda con lo stesso livello di cura che riserverebbe se fosse sua. Il suo rapporto con Enrico, il titolare, era fondato su una fiducia reciproca, con Enrico che si affidava spesso a lei per questioni importanti.

L’azienda di Enrico seguiva quella retorica comune di “siamo come una famiglia”, ma come Simona sottolinea, spesso le aziende hanno una visione distorta di cosa significhi realmente “famiglia”. Nonostante Enrico richiedesse che tutto funzionasse alla perfezione, lui stesso era spesso assente, paragonabile a un “padre assente” nella metafora familiare.

Per anni, Simona ha messo in secondo piano il desiderio di avere una famiglia propria, temendo che la maternità potesse compromettere la sua capacità di dedicarsi al lavoro come in passato. Tuttavia, giunta vicino ai quaranta anni, ha deciso che era giunto il momento di mettere su famiglia. La reazione di Enrico alla notizia della sua gravidanza, tuttavia, ha segnato un cambiamento significativo nel loro rapporto lavorativo.

Simona non specifica esattamente come siano cambiate le cose, ma il contesto suggerisce che la reazione di Enrico potrebbe non essere stata positiva o supportiva. Questo cambiamento potrebbe aver messo in luce la discrepanza tra la retorica dell’azienda “familiare” e la realtà di come vengono trattati eventi della vita reale come la maternità.

Il racconto di Simona evidenzia una problematica comune in molti ambienti lavorativi, dove le esigenze aziendali spesso vengono messe prima delle esigenze personali e familiari dei dipendenti, nonostante il discorso superficiale sulla “famiglia aziendale”. Questa storia apre una finestra su come le decisioni personali come la maternità possono essere percepite come un intralcio in un ambiente lavorativo che predica flessibilità e supporto familiare solo in teoria, non nella pratica.

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