Fonte: Pixabay
Un tempo il sogno di ogni bambino era la bicicletta, oggi la scena del “grande regalo” ha come protagonista un rettangolino luminoso. Peccato che lo smartphone, quando arriva troppo presto, sembri più un cavallo di Troia che un dono. A dirlo non sono i soliti genitori allarmati, ma uno studio condotto in 40 Paesi su oltre 100.000 giovani adulti.
I dati non lasciano spazio a interpretazioni: chi ha ricevuto il primo telefono prima dei 13 anni mostra da grande più sintomi di ansia, pensieri suicidi, disturbi dell’umore e aggressività. E più si abbassa l’età, peggiore diventa il quadro.
Gli studiosi hanno misurato il benessere mentale con l’MHQ (Mind Health Quotient), una scala che va da -100 a +200. Sopra i 100 si sta bene, sotto lo zero la situazione è grave. Un tredicenne che riceve lo smartphone si aggira intorno a 30 punti, ma chi l’ha avuto a 5 anni precipita quasi allo zero.
Le differenze tra maschi e femmine sono impressionanti: il 48% delle ragazze con smartphone a 5-6 anni ha avuto pensieri suicidi da adulte, contro il 28% di chi lo ha ricevuto più tardi. Tra i ragazzi, la percentuale sale dal 20% al 31%. E non si tratta di eccezioni locali: i risultati sono stati identici in culture e Paesi diversi.
Lo smartphone in sé è un problema, ma il vero detonatore sembra essere l’accesso precoce ai social. Instagram, TikTok e Snapchat dichiarano il divieto sotto i 13 anni, ma basta cambiare la data di nascita e il gioco è fatto. Risultato: bambini intrappolati in un mondo progettato per creare dipendenza.
Secondo i ricercatori, il 40% dei danni mentali collegati all’uso precoce dello smartphone dipende dai social network. Nei Paesi anglofoni la percentuale arriva al 70%. E dentro questo universo digitale si moltiplicano paragoni tossici, notifiche che non lasciano tregua e contenuti disturbanti.
Come se non bastasse, c’è il cyberbullismo. Storie tragiche come quelle di Mallory Grossman e Molly Russell mostrano che non si tratta di statistiche fredde, ma di vite spezzate. La vicenda di Molly, in particolare, ha spinto il Regno Unito a introdurre l’Online Safety Act per proteggere i minori dai pericoli del web.
Oltre ai social, ci sono altre conseguenze meno chiacchierate ma altrettanto pesanti: disturbi del sonno (responsabili del 12% dei problemi mentali osservati), relazioni familiari compromesse (13%) e un 10% di casi direttamente collegati al bullismo online.
Gli esperti non propongono un ritorno all’età della pietra digitale, ma chiedono soluzioni concrete. Tra queste, un’educazione digitale obbligatoria prima dell’ingresso sui social, il rispetto effettivo dei limiti d’età con multe per le piattaforme che li ignorano, e persino smartphone semplificati per i più piccoli.
Inoltre, viene proposto un approccio simile a quello usato per alcol e sigarette: riconoscere che i minori sono più vulnerabili e che serve una regolamentazione pubblica. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma di adattarla all’età e allo sviluppo del cervello.
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Alla fine, il vero nodo non è tecnico, ma culturale. Consegnare uno smartphone a un bambino di 7 anni significa dargli accesso a un mondo che neppure molti adulti sanno gestire. Forse non sarà popolare dire di no quando “tutti ce l’hanno già”, ma potrebbe fare la differenza tra un’infanzia serena e una crescita segnata da problemi mentali. Gli esperti avvertono: aspettare le prove “definitive” potrebbe voler dire sacrificare milioni di bambini. La domanda allora diventa inevitabile: siamo pronti a pagare il prezzo di una connessione precoce?
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