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Altro che nicotina e catrame: il nuovo nemico silenzioso della salute è la riunione del lunedì mattina. Secondo uno studio firmato da Jeffrey Pfeffer di Stanford e Joel Goh di Harvard, pubblicato su Behavioral Science & Policy, lo stress professionale sarebbe responsabile di oltre 120.000 decessi all’anno negli Stati Uniti. Se pensavi che il vizio peggiore fosse la sigaretta dopo pranzo, forse è ora di guardare male anche la tua casella e-mail.
Gli studiosi hanno analizzato i dati di ben 228 ricerche, scoprendo che alcuni fattori professionali sono letalmente sottovalutati. Parliamo di turni infiniti, lavori precari, mansioni inadatte, tensioni in ufficio e, soprattutto, totale assenza di supporto. Aggiungiamoci la paura costante di perdere il posto e il cocktail è servito: niente ghiaccio, ma un bel colpo al sistema nervoso.
I dati fanno riflettere più di una pausa caffè: la percezione di instabilità lavorativa aumenta del 50% il rischio di sentirsi in cattiva salute, mentre i carichi di lavoro esagerati alzano del 35% la probabilità di ammalarsi. Lavorare troppe ore, poi, incrementa del 20% il rischio di morte prematura. Una statistica poco motivante per chi sperava che l’overtime portasse almeno un aumento.
E se ancora non basta, c’è un confronto che mette tutti d’accordo: gli effetti negativi di un lavoro tossico possono essere peggiori del fumo passivo. Non serve inalare nulla: bastano un capo irragionevole, una stampante inceppata e l’ennesimo “ti serve per ieri”.
Anche se i dati arrivano dagli Stati Uniti, il problema parla molte lingue e dialetti. In Italia, i segnali d’allarme sono evidenti: ritmi impossibili, contratti ballerini e la cronica difficoltà nel conciliare vita privata e lavoro. E non c’è smart working che tenga, se lo stress si insinua anche tra le mura di casa.
Il rischio non è solo la scarsa produttività o l’assenteismo, ma una vera e propria emergenza sanitaria. Del resto, se l’ambiente di lavoro è più tossico dell’aria in tangenziale, forse è il caso di riconsiderare il concetto di “ambiente salubre”.
Il messaggio dello studio è tanto semplice quanto brutale: uscire da un contesto lavorativo nocivo può allungare la vita più che smettere di fumare. No, non è uno slogan motivazionale da workshop del venerdì pomeriggio: è scienza. E forse la vera rivoluzione del benessere parte proprio da lì, dal capire che la salute mentale è salute e basta.
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Promuovere ambienti lavorativi sani non è più un optional da azienda “green” con la frutta fresca in sala riunioni. È una questione di sopravvivenza. Valorizzare le competenze, offrire supporto reale e garantire un equilibrio tra vita e lavoro dovrebbero essere le priorità di ogni realtà che si rispetti. Altrimenti, più che motivazione, ci ritroveremo con un’epidemia silenziosa fatta di stress cronico e burnout da manuale.
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