Lo strano caso della donna che non prova dolore, paura, ansia: come fa? [+VIDEO]

Jo Cameron: il segreto genetico per non provare dolore che potrebbe rivoluzionare la medicina

 

C’è chi dice che il dolore sia il miglior maestro di vita. Jo Cameron probabilmente non sarebbe d’accordo. A 75 anni, la donna scozzese è diventata una sorta di “mistero vivente” per i ricercatori, capace di attraversare operazioni chirurgiche senza bisogno di antidolorifici e di affrontare la vita con livelli di ansia vicini allo zero. Non è una supereroina dei fumetti, ma la protagonista di uno dei casi più interessanti della genetica contemporanea.

Tutto parte da una mutazione rara nel gene FAAH-OUT, che in combinazione con il gene FAAH altera la percezione del dolore e delle emozioni negative. Tradotto in termini più semplici: mentre la maggior parte delle persone vede una fiamma e sente bruciare, Jo se ne accorge solo guardando la pelle arrossata. Non proprio il tipo di potere che vorresti avere in cucina.

Dolore cronico e nuove frontiere terapeutiche

La scoperta ha attirato l’attenzione degli scienziati dello University College di Londra, che hanno deciso di studiare a fondo il suo DNA. Perché se Jo può vivere senza sofferenza fisica, forse da questo profilo genetico si possono trarre nuove soluzioni contro uno dei problemi più diffusi e invalidanti del nostro tempo: il dolore cronico. Solo in Europa ne soffrono oltre 100 milioni di persone e la prospettiva di farmaci ispirati al suo “codice segreto” fa sognare milioni di pazienti.

Il gene FAAH è legato al sistema endocannabinoide, lo stesso che regola umore, memoria ed emozioni. Non a caso viene chiamato anche “gene felice” o “gene smemorato”. In laboratorio, ridurre l’attività di FAAH-OUT significa ridurre anche quella di FAAH, con effetti diretti sulla sensibilità al dolore, sulla guarigione delle ferite e persino sull’ansia.

Ansia ridotta e memoria selettiva

Oltre a non sentire dolore, Jo sembra anche avere un approccio molto sereno alla vita. Racconta di non aver mai provato panico o paura, nemmeno durante momenti potenzialmente traumatici. Persino i ricordi spiacevoli svaniscono più in fretta del normale. Un tratto che, se da un lato la rende unica, dall’altro potrebbe aprire la strada a terapie innovative contro disturbi d’ansia e stress post-traumatico.

Gli esperimenti con tecniche di editing genetico come CRISPR-Cas9 hanno permesso ai ricercatori di mappare meglio l’interazione tra FAAH-OUT e FAAH, rivelando come queste mutazioni influiscano su centinaia di altri geni coinvolti in processi chiave. L’ipotesi è che modulando questi meccanismi si possano sviluppare trattamenti più efficaci e con meno effetti collaterali rispetto alle terapie attuali.

Il prezzo dell’assenza di dolore

Naturalmente, non tutto è oro quello che luccica. Se non sentire dolore può sembrare un dono, la realtà è più complessa. Il dolore, per quanto fastidioso, è un segnale di allarme indispensabile per la sopravvivenza. Nel caso di Jo, il rischio è non accorgersi di una frattura o di una bruciatura finché non diventa evidente a occhio nudo. Un dettaglio che trasforma la sua condizione in una combinazione di vantaggi e pericoli.

Gli scienziati parlano ancora di “punta dell’iceberg”. L’universo genetico che ruota intorno a FAAH-OUT è vasto e poco esplorato, ma i primi risultati mostrano che potrebbe avere implicazioni non solo per il dolore, ma anche per la depressione, la guarigione dei tessuti e altre condizioni mediche ancora tutte da studiare.

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Dalla Scozia al futuro della medicina

La storia di Jo Cameron, scoperta per caso nel 2013 dopo interventi chirurgici all’anca e alla mano, si è trasformata in un caso scientifico mondiale. Da un lato, rappresenta un’enorme opportunità per la ricerca biomedica; dall’altro, è un promemoria di come la biologia umana riservi ancora sorprese degne di un romanzo. Che si tratti di dolore cronico, ansia o disturbi della memoria, la strada aperta dalla sua mutazione genetica è vista da molti come una rivoluzione in attesa di compiersi. E chissà che, un giorno, la medicina non possa davvero offrire un po’ del suo straordinario “potere” a chi soffre quotidianamente.

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