Esperimento carcerario di Stanford: ecco cos’è l’effetto Lucifero

Come l’appartenenza al gruppo influenza il nostro comportamento

 

Avete mai sentito parlare dell’esperimento carcerario di Stanford? Si tratta di un esperimento realizzato da un team di ricercatori dell’Università di Stanford, i cui esiti furono davvero inquietanti. L’obiettivo dei ricercatori era quello di indagare il comportamento degli individui all’interno di un contesto in cui fossero definiti esclusivamente in base al proprio gruppo di appartenenza.

Secondo alcune teorie, il cui capofila era lo studioso del comportamento sociale Gustave Le Bon, le persone all’interno di un gruppo coeso tendono a perdere la propria identità, e con essa la consapevolezza e il senso di responsabilità. All’esperimento, realizzato all’interno di un carcere simulato, presero parte 24 volontari. Si trattava di studenti maschi, di ceto medio, con una personalità matura ed equilibrata. I partecipanti che aderirono vennero divisi in due gruppi: guardie e prigionieri. I risultati ebbero risvolti talmente drammatici che il test fu sospeso prima della sua conclusione.

Zimbardo e l’effetto Lucifero

Nel corso della sperimentazione, ai prigionieri venne imposto di indossare delle divise identiche, su cui era apposto un numero identificativo, e di rispettare una rigida serie di regole. Le guardie, invece, erano dotate di manganello e potevano mantenere l’ordine con i metodi che più reputavano opportuni, compreso il ricorso alla violenza. Naturalmente, l’abbigliamento era finalizzato a spersonalizzare gli individui.

Dopo appena due giorni dall’inizio del test si verificò il primo episodio di violenza: i detenuti si ribellarono ai carcerieri, che li costrinsero a compiere delle azioni raccapriccianti, come pulire le latrine a mani nude. L’insubordinazione dei prigionieri culminò con un tentativo di evasione, a cui le guardie risposero con punizioni sadiche e vessatorie. Dopo appena 48 ore, i carcerati e i loro sorveglianti presentavano segnali di squilibrio, disturbi emotivi e comportamenti antisociali.

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Per questa ragione, la sperimentazione venne interrotta prima di giungere al suo compimento. L’autore principale dello studio, il dottor Zimbardo, spiegò che nonostante la prigione fosse finta, i partecipanti all’esperimento percepivano l’esperienza come reale. Lo scienziato, quindi, coniò l’espressione effetto Lucifero  per indicare le reazioni aggressive scatenate dal contesto in cui l’individuo è immerso.

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