Ghost working: l’arte di fingere di lavorare

Ghost working: fingere di lavorare è il nuovo lavorare

 

Benvenuti nell’era del lavoro ibrido, dove la produttività si misura in finestre di Excel aperte a vuoto e telefonate immaginarie. Il fenomeno del ghost working è la risposta (piuttosto creativa) di molti lavoratori allo stress, al burnout e a un certo disincanto verso l’ufficio. In sostanza: lavorare meno, ma farlo sembrare molto.

Secondo un’indagine recente, più della metà dei dipendenti confessa di fare finta di lavorare. E non si tratta solo di girare per l’ufficio con un taccuino in mano: parliamo di tecniche raffinate, dal premere tasti a caso al partecipare a riunioni che esistono solo nel calendario Outlook.

Le strategie da maestro del ghost working

Chi si dedica al ghost working non è necessariamente pigro. Al contrario, dimostra una certa inventiva. Il 24% degli intervistati usa il tempo d’ufficio per aggiornare il curriculum, il 23% invia candidature e il 20% risponde serenamente alle chiamate dei recruiter. Il 19% esce addirittura dall’edificio per sostenere colloqui altrove, con la camicia stirata e l’agenda ufficialmente piena di “allineamenti interni”.

Tra le tecniche più usate: tenere il telefono all’orecchio senza alcuna conversazione in corso (15%), fissare fogli di calcolo mentre si leggono articoli online (15%) e pianificare riunioni inesistenti pur di evitare il lavoro reale (12%). Sembra paradossale, ma richiede più impegno di quanto sembri.

Ghost working e stress da ufficio: un legame stretto

Questa tendenza, pur sembrando goliardica, ha radici profonde. Il lavoro da remoto ha sfumato i confini tra tempo libero e tempo lavorativo, mentre l’incertezza sul futuro e la fatica mentale hanno ridotto la motivazione. Così, invece di mollare tutto, molti scelgono la via di mezzo: restare visibilmente attivi, senza esserlo davvero.

Il ghost working diventa quindi una forma di auto-difesa: non si tratta tanto di imbrogliare, quanto di sopravvivere alle giornate lavorative conservando le energie per un futuro (si spera) migliore. Un equilibrio precario tra apparenza e realtà.

Produttività reale o illusione? La chiave è la fiducia

Gli esperti concordano su un punto: il ghost working è figlio di ambienti lavorativi che premiano la presenza più della performance. Se a un dipendente si chiede di “esserci” più che di “produrre”, allora tanto vale fingersi operativi. Per invertire la rotta, serve un cambio di paradigma: dare responsabilità ma anche libertà, monitorare i risultati e non solo il tempo davanti al monitor.

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In un contesto dove l’immagine vale quanto (se non più di) ciò che si fa, il ghost working continuerà a prosperare finché non si affronterà il vero problema: la mancanza di motivazione autentica. Perché nessun finto Excel potrà mai sostituire il desiderio reale di fare bene.

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