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Prima c’era il quiet quitting, poi la great resignation. Ora tocca al job hugging, ovvero restare abbracciati al proprio lavoro come a un orsacchiotto impolverato: comodo, familiare, ma forse da buttare. Il termine, reso popolare dall’Economist, fotografa una realtà che molti conoscono fin troppo bene: quella di chi non sopporta più il proprio impiego ma non trova il coraggio di mollarlo.
I motivi? Paura di finire in un mercato del lavoro sempre più competitivo, stipendi che non crescono e un diffuso senso di “tanto vale restare”. Un tempo cambiare lavoro era segno di ambizione, oggi è diventato un azzardo da equilibristi con il mutuo.
Durante la pandemia, milioni di persone avevano lasciato il posto fisso in cerca di senso e libertà. Ora, a distanza di pochi anni, si assiste al fenomeno opposto: ci si tiene stretti al contratto come se fosse una scialuppa di salvataggio. Secondo un’analisi della Federal Reserve di Atlanta, chi resta fermo nel proprio ruolo ottiene aumenti salariali quasi identici a chi cambia azienda: 4,6% contro 4,8%.
Insomma, per un misero 0,2% in più, vale la pena rifare curriculum, colloqui e onboarding? Molti pensano di no. Così nasce il job hugging: una via di mezzo tra la prudenza e la rassegnazione, condita da un pizzico di nostalgia per i tempi del “posto fisso è per sempre”.
Mary Cavanaugh, esperta di career management, spiega che la paura è il principale motore di questo comportamento. Il mercato è instabile, l’intelligenza artificiale avanza e la sicurezza di uno stipendio mensile resta un’àncora difficile da mollare.
Eppure, trattenere chi non crede più nel proprio lavoro è un rischio anche per le aziende. Come ricorda la CEO Marie Unger su Forbes, i dipendenti che restano solo per paura costano alle imprese fino al 18% del loro salario annuale in produttività perduta.
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Gli esperti suggeriscono di reagire prima che la comfort zone diventi una trappola. Le aziende dovrebbero offrire percorsi di crescita e senso di appartenenza, mentre i lavoratori dovrebbero chiedersi se restare “abbracciati” al proprio posto li fa sentire al sicuro o solo bloccati. Perché, alla fine, c’è una sottile differenza tra stabilità e immobilismo. E il job hugging, per quanto rassicurante, raramente profuma di futuro.
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