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A quanto pare, parlare non serve solo a lamentarsi del traffico o ordinare un caffè al bar: cambia letteralmente il cervello. Un recente studio pubblicato su NeuroImage ha dimostrato che la lingua madre non è solo un ricordo d’infanzia, ma una traccia fisica impressa nella materia bianca. Insomma, il modo in cui impari a dire “ciao” o “guten Tag” da piccolo può modellare la tua mente per sempre.
I ricercatori hanno analizzato con la risonanza magnetica il cervello di due gruppi di adulti, madrelingua tedeschi e madrelingua arabi. Non si tratta di un confronto casuale: le due lingue funzionano in modo molto diverso. Il tedesco è famoso per le sue frasi lunghe, le subordinate infinite e la sintassi che farebbe sudare chiunque. L’arabo, invece, ruota attorno a radici consonantiche e a un forte legame tra suono e significato.
I risultati? I tedeschi mostrano connessioni più dense nell’emisfero sinistro, quello che governa la grammatica e la struttura delle frasi. Chi è cresciuto con l’arabo, al contrario, ha un cervello più “dialogante”, con ponti evidenti tra i due emisferi, segno di una maggiore integrazione tra la forma delle parole e il loro senso. In altre parole, ogni lingua costruisce un proprio percorso neuronale personalizzato, come un sistema di autostrade linguistiche.
E la sorpresa è che queste differenze si trovano negli adulti, non nei bambini. Ciò significa che la lingua madre non è solo un’impronta temporanea, ma una ristrutturazione stabile del cervello che dura tutta la vita.
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Gli scienziati tengono a precisarlo: non esistono lingue “più intelligenti” o cervelli “più evoluti”. Ogni idioma chiede sforzi cognitivi differenti e lascia un’impronta coerente con le proprie regole. Parlare tedesco o arabo non rende migliori o peggiori, ma semplicemente… cablati in modo diverso. In fondo, il linguaggio non è solo un mezzo di comunicazione, ma un tratto fisico della nostra identità. E la prossima volta che qualcuno corregge la tua grammatica, puoi sempre rispondere: “Non è un errore, è neuroplasticità”.
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