Maledizione dei faraoni o agenti patogeni? L’egittologo Ramy Romany e la malattia dopo l’apertura di una tomba

L’archeologo si è ammalato gravemente dopo l’apertura di una tomba egizia: febbre altissima, allucinazioni e tosse con sangue

 

 

Nel cuore del deserto egiziano, sotto il sole impietoso e con la polvere che si insinua ovunque, anche nella storia, si è consumato un episodio che sembra uscito da un film d’avventura. Ma non c’è niente di romanzato in ciò che è accaduto a Ramy Romany, egittologo di fama internazionale e regista, noto al grande pubblico per il suo lavoro su Discovery Channel. Nel 2019, durante le riprese della serie Mummies Unwrapped, Romany è stato protagonista di un’esperienza che ha messo seriamente a rischio la sua vita, riportando l’attenzione su una delle leggende più antiche e affascinanti dell’archeologia: la famigerata “maledizione dei faraoni”.

L’apertura di una tomba rimasta sigillata per secoli e l’esposizione ad aria malsana e contaminata

Il racconto dell’archeologo parte da un momento cruciale: l’apertura di una tomba che, secondo gli studiosi, era rimasta inviolata da almeno 600 anni. L’ingresso, sigillato da secoli, si è finalmente dischiuso davanti alla troupe di Romany, pronta a documentare ogni dettaglio per il pubblico di Discovery Channel. Si trattava di una sepoltura particolarmente interessante, poiché si ipotizzava potesse appartenere a una figura citata nei testi biblici.

«Siamo entrati in una tomba antichissima», ha raccontato Romany durante un’intervista a The Jordan Harbinger Show. «Dopo aver aperto la porta, ci siamo trovati davanti a una scala ripida che scendeva per un lungo passaggio buio, pieno di polvere, escrementi di pipistrelli e perfino tracce di serpenti. E mentre camminavo, raccontando tutto davanti alla telecamera, respiravo quell’aria stagnante e putrida a pieni polmoni».

Un dettaglio che, a posteriori, si sarebbe rivelato fatale. Infatti, quell’atmosfera mefitica – intrisa di umidità, muffe e microrganismi potenzialmente dannosi – ha provocato nel corpo dell’archeologo una reazione tanto improvvisa quanto violenta.

Febbre a 42 gradi, sangue e allucinazioni: la scienza spiega ciò che il mito chiama “maledizione dei faraoni”

Al ritorno al Cairo, poche ore dopo la conclusione delle riprese, le condizioni di Romany sono precipitate. «La mattina dopo mi sono svegliato con una febbre altissima, oltre i 42 °C. Tossivo sangue e avevo continue allucinazioni», ha spiegato. Ricoverato immediatamente, gli vennero somministrati antibiotici ad ampio spettro, ipotizzando un’infezione di origine batterica o fungina.

In molti, ascoltando il racconto, non hanno potuto fare a meno di evocare la leggendaria “maledizione dei faraoni”, secondo cui chi osa disturbare il riposo eterno dei sovrani egizi è destinato a un destino tragico. Una credenza antica quanto affascinante, alimentata nel tempo da casi celebri come quello di Lord Carnarvon, finanziatore della spedizione che scoprì la tomba di Tutankhamon e morto in circostanze misteriose poco dopo.

Tuttavia, Romany ha voluto subito mettere i puntini sulle “i”: niente magia nera, solo scienza. Secondo il regista-archeologo, la causa del suo malore è da ricercare nei patogeni fungini presenti all’interno delle tombe sigillate da secoli. Un ambiente ideale per la proliferazione di funghi tossici e batteri resistenti, capaci di colpire duramente chi vi si espone senza protezioni adeguate.

«Ho passato quattro giorni terribili, in preda a febbre altissima e deliri. Alla fine, mi sono ripreso, ma posso dire senza esagerare che ho davvero rischiato di morire», ha raccontato. «Che ci fosse o meno una maledizione, la mia malattia è arrivata da dentro quella tomba. E questo è un fatto».

Un’esperienza che non solo ha lasciato un segno profondo nella vita dell’archeologo, ma che rappresenta anche un monito importante per tutti gli studiosi del settore: l’archeologia non è solo fatta di scoperte emozionanti, ma anche di rischi reali, spesso invisibili, nascosti tra le pietre di tombe millenarie.

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