Medico va in pensione e distrugge il telefono in piazza: “La reperibilità era un incubo”

Il tutto davanti a pazienti e amici attoniti

 

Un medico di famiglia, Ugo Gaiani, ha concluso la sua carriera come dottore con un gesto che ben presto è diventato virale. Per celebrare la tanto agognata pensione, dopo 39 anni di lavoro di cui gli ultimi 33 all’ambulatorio Guastalla (in provincia di Reggio Emilia), ha radunato circa 150 ex pazienti ed amici. Quella che doveva essere una festa per il suo ultimo giorno di servizio, tuttavia, si è trasformato in un evento che ha avuto rilevanza nazionale. Dopo aver fatto un rinfresco per salutarli, si è infatti vestito di tutto punto come se stesse andando a giocare a baseball.

Ha indossato una maglietta dei San Antonio e un cappellino da battitore e poi ha afferrato una mazza da baseball. Brandendola, ha colpito con forza il telefono fisso dell’ambulatorio, che è andato in mille pezzi sotto gli occhi increduli dei presenti che hanno registrato la scena con il cellulare. Ma perché tutto questo? Si è trattato di una sorta di “liberazione” dalla reperibilità medica che per lui era ormai diventata un incubo. E quindi perché non distruggere proprio lo strumento simbolo della reperibilità stessa?

Le motivazioni del gesto

Interrogato sull’accaduto, ha sostenuto: “L’ho fatto perché negli ultimi anni la reperibilità era diventata un incubo, dallo stress a tanti problemi che hanno influito sulla mia condizione generale”. Una situazione che è ancor più peggiorata con il Covid: periodo del Covid, che ha provato notevolmente la categoria: “Ero arrivato a lavorare 16 ore al giorno, dormendo poco la notte. Ma più che la pandemia e il lockdown, diciamo che il peggio è arrivato col post Covid. La gente in generale è diventata più cattiva, più maleducata. Molti rapporti si sono incrinati, l’emergenza sanitaria ha cambiato le persone. In peggio. Pazienti sempre meno pazienti, il nostro lavoro non bastava mai”.

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Gaiani si è comunque detto dispiaciuto di dover lasciare la professione a cui era legato da quasi 40 anni: “Con tanti pazienti si è creato un rapporto non solo professionale, ma anche di amicizia. Lo dimostrano i tanti cittadini che sono venuti a salutarmi in piazza, sotto l’ambulatorio, alla fine della mia attività. Ma arriva un momento in cui bisogna smettere”. E come smettere nel modo migliore che non con il botto, letteralmente?

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