Fonte: Pexels
Siamo abituati a sentirci in colpa quando perdiamo il filo del discorso o ci ritroviamo a pensare alla cena mentre stiamo leggendo un’email di lavoro. La chiamano distrazione, mancanza di concentrazione, incapacità di restare focalizzati. Ma se invece il nostro cervello stesse solo cercando di fare il suo mestiere in modo diverso?
Il fenomeno del mind wandering, ovvero il vagare della mente mentre stiamo facendo qualcos’altro, è sempre stato visto con sospetto. Riduce la precisione, ci fa commettere errori e ci porta a dimenticare ciò che stavamo facendo. Ma uno studio recente condotto da un team internazionale di ricercatori europei ha scoperto che, in alcune condizioni, potrebbe essere proprio questa distrazione a farci apprendere meglio. E non stiamo parlando di miracoli new age, ma di dati scientifici pubblicati su riviste come Journal of Neuroscience e iScience.
Secondo gli studi, quando la mente inizia a divagare mentre svolgiamo compiti semplici, si attivano meccanismi di apprendimento implicito. I partecipanti agli esperimenti erano impegnati in un compito visivo e motorio, con sequenze nascoste da individuare inconsciamente. Durante le sessioni, veniva registrato anche il grado di distrazione percepita. E qui arriva la sorpresa: chi si distraeva di più, mostrava una maggiore capacità di apprendere le regolarità nascoste nei compiti.
In altre parole, mentre il focus cosciente veniva meno, il cervello si dedicava sottotraccia all’elaborazione delle informazioni, proprio come un computer che continua a scaricare dati anche con lo schermo spento. Non senza effetti collaterali: sì, le risposte erano meno precise, ma il sistema neurale sembrava comunque più ricettivo. Il che è interessante, specie se pensiamo a quante volte ci capita di imparare qualcosa “senza accorgercene”.
L’uso dell’elettroencefalogramma ha mostrato che durante gli episodi di mind wandering, il cervello entra in uno stato di attività a bassa frequenza, simile a quello del sonno leggero. Non è una pausa vera e propria, ma una fase in cui l’elaborazione cosciente rallenta e lascia spazio a una modalità più passiva e creativa. È proprio in questo stato che sembrano avvenire operazioni utili alla memoria e all’organizzazione delle informazioni.
Secondo i ricercatori, si tratta di un processo naturale di “recupero cognitivo” che, se ben compreso, potrebbe avere risvolti interessanti anche in ambito educativo. L’attenzione costante, infatti, non è sempre la chiave dell’efficacia. A volte, il cervello apprende meglio quando non è sotto pressione.
La classica idea secondo cui per imparare bisogna restare concentrati al 100% potrebbe essere superata da questi nuovi dati. Il mind wandering, lungi dall’essere solo un inciampo mentale, potrebbe diventare uno strumento utile, se gestito correttamente. Non significa che possiamo smettere di seguire le riunioni o ignorare le lezioni, ma forse dovremmo iniziare a capire che quei momenti di “assenza” non sono del tutto sprecati.
Leggi anche: Pensi troppo al futuro o al passato? Potresti soffrire di overthinking
Anzi, imparare a riconoscere quando la mente ha bisogno di vagare potrebbe diventare un modo per potenziare l’apprendimento implicito, ridurre lo stress e lasciare che il cervello faccia il suo mestiere anche quando sembra in pausa. Dopotutto, siamo abituati a pensare che tutto debba essere efficiente. Ma forse, ogni tanto, un piccolo viaggio mentale è proprio quello che ci serve per imparare senza nemmeno accorgercene.
Share