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Chiunque ha una canzone che appena parte lo catapulta indietro di vent’anni. Magari a un primo bacio, a un’estate passata con gli amici o a una festa universitaria. Non è nostalgia da copertina, è scienza: il cervello conserva meglio le musiche ascoltate tra i 13 e i 20 anni rispetto a quelle scoperte dopo.
Questo fenomeno è chiamato reminiscence bump, ed è il motivo per cui anche a ottant’anni qualcuno ricorda perfettamente i testi imparati da adolescente, mentre fatica a memorizzare le canzoni nuove. In quel periodo, infatti, il cervello è in piena fase di sviluppo e archivia esperienze ed emozioni come se fossero patrimonio da non dimenticare.
Gli anni dell’adolescenza non servono solo a collezionare ricordi imbarazzanti ma a costruire l’identità. È lì che si decidono gusti, valori e persino aspirazioni future. La musica diventa quindi un tassello fondamentale di questo mosaico, perché si lega ai momenti in cui iniziamo a capire chi siamo e con chi vogliamo condividere la strada.
Secondo gli studiosi, il legame è così forte perché i brani ascoltati in gioventù si saldano con le emozioni più intense. Non è solo una questione di ritornelli o melodie, ma di dopamina ed ossitocina, le stesse sostanze che si attivano quando proviamo piacere. Insomma, ogni volta che risentiamo quelle note il cervello ci regala un tuffo chimico nel passato.
Un’altra ragione sta nel potere delle esperienze nuove. La prima auto, il primo viaggio da soli, il primo concerto: tutto diventa più vivido e indelebile perché il cervello ama le novità. Se in sottofondo c’era una canzone, quella musica resta impressa come la colonna sonora ufficiale del ricordo.
Ecco perché alcune canzoni sembrano avere la chiave della nostra memoria. Non importa quando siano state pubblicate, conta quando sono diventate importanti per noi. È il contesto a trasformarle in portali emotivi, pronti a farci rivivere la stessa scarica di adrenalina e tenerezza di allora.
Non va dimenticato un dettaglio: la musica non è mai solo personale. Ascoltarla in gruppo, con gli amici o con una persona speciale, crea legami che resistono al tempo. Molte volte un brano ci commuove non tanto per il testo o la melodia, ma perché ci ricorda qualcuno che ha fatto parte del nostro cammino.
Questo spiega perché nei programmi radio o televisivi dedicati ai ricordi, come Desert Island Discs, i partecipanti scelgono brani collegati a persone più che a eventi. La canzone diventa così un biglietto di ritorno verso relazioni e momenti che hanno definito chi siamo.
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Gli esperti assicurano che non è un segno di gusti musicali discutibili se torniamo sempre alle stesse playlist adolescenziali. È il cervello che ci ricorda che quelle note non sono solo musica, ma pezzi della nostra identità. La prossima volta che vi ritrovate a canticchiare un vecchio tormentone degli anni Novanta, non preoccupatevi: non è immobilismo musicale, è solo la potenza del reminiscence bump. Un effetto che rende la musica non solo un intrattenimento, ma una vera macchina del tempo personale.
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