Fonte: Pexels
Se c’è una certezza che unisce l’Italia da nord a sud è che il ragù alla bolognese non si tocca. O almeno così si pensava, prima che il New York Times decidesse di metterci mano, anzi cucchiaio, con una ricetta che ha scatenato una piccola tempesta gastronomica. La nuova versione americana del ragù alla bolognese include, tra gli ingredienti, curry rosso e panna. E no, non è uno scherzo.
L’autrice della variante, Genevieve Ko, vicedirettrice della sezione culinaria del celebre quotidiano, ha proposto questo piatto come una soluzione veloce e gustosa per chi ha poco tempo ma non vuole rinunciare al comfort food. Un’idea nata in un contesto personale, ma che ha avuto l’effetto collaterale di far infuriare gli amanti della cucina italiana. La reazione? Un mix tra sgomento, sarcasmo e attaccamento viscerale alla ricetta originale.
La proposta del New York Times prevede carne macinata rosolata velocemente, un soffritto ridotto, salsa di pomodoro, pasta di curry rosso e panna per bilanciare il gusto. Il risultato, secondo la testata americana, sarebbe un sugo speziato e cremoso, pronto in poco tempo e adatto a ogni giornata frenetica. In Italia però, più che a un piatto di tagliatelle, ha fatto pensare a una zuppa asiatica travestita da tradizione.
Eppure, a ben vedere, la panna nel ragù non è del tutto fuori posto. Era presente nella versione del 1982 depositata all’Accademia Italiana della Cucina, anche se è poi scomparsa nelle revisioni successive. Il curry invece resta un intruso dichiarato, senza alcun appiglio nella cultura gastronomica bolognese. E qui sorge la vera questione: quanto ci si può allontanare da una ricetta prima di doverle cambiare nome?
Il web, com’era prevedibile, ha reagito con la consueta teatralità. Qualcuno ha ribattezzato il piatto “ragù alla confusionale”, altri hanno chiesto il sequestro preventivo della ricetta da parte della Camera di Commercio di Bologna. Molti hanno semplicemente suggerito di non chiamarlo ragù alla bolognese, ma piuttosto “pasta fusion piccante”. Una soluzione diplomatica che eviterebbe ulcere da indignazione ai puristi italiani.
Dietro l’ironia, però, si nasconde una questione culturale più ampia. La cucina italiana è uno dei patrimoni più gelosamente custoditi del nostro Paese. Non si tratta solo di ingredienti, ma di identità. Chiamare “bolognese” un piatto che con la tradizione ha poco in comune, anche se buono, viene vissuto come una forma di appropriazione culinaria maldestra.
A onor del vero, la creatività in cucina è cosa buona e giusta. Mescolare sapori, reinterpretare piatti, adattare ricette al proprio stile di vita è il sale dell’innovazione gastronomica. Ma ogni libertà richiede una piccola dose di rispetto. E forse è proprio qui che la ricetta del New York Times inciampa: non tanto nell’uso del curry, quanto nell’etichetta che pretende di mantenere.
Leggi anche:
Insomma, se volete mettere il curry nel ragù, fate pure. Se vi piace aggiungere la panna, nessuno vi giudica. Ma poi chiamatelo in un altro modo. Perché in Italia, con certe cose, non si scherza. E il ragù alla bolognese è una di queste.
Share