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Perché alcune persone, pur essendo innocenti, confessano di aver commesso un reato di cui non sono responsabili? La questione non riguarda solo la finzione: la cronaca giudiziaria, infatti, è spesso caratterizzata da simili casi. Del tema si è occupato uno studio condotto dall’Iowa State University, che ha messo a punto un interessante esperimento.
Alcuni studenti sono stati accusati di aver aiutato un loro compagno durante lo svolgimento di un compito individuale. Sebbene fossero innocenti, il 43% di loro si è dichiarato colpevole. Quali sono le motivazioni che hanno spinto gli ignari partecipanti al test a comportarsi in questo modo? Secondo i ricercatori, alla base di questo comportamento c’è la pressione a cui sono stati sottoposti. Chi è accusato ingiustamente, infatti, finisce per confessare pur di liberarsi dello stress dell’interrogatorio.
Non si tratta dell’unico esperimento che ha dimostrato che elevate condizioni di tensione possono spingere i sospettati a farsi carico di reati e comportamenti amorali che, in realtà, non hanno commesso. Un ulteriore studio, infatti, ha messo in luce che molti accusati preferiscono confessare pur di evitare una lunga serie di domande inquisitorie, nonostante vengano avvertiti che ciò determinerà un incontro con la polizia.
Tale scelta dipende dal desiderio di liberarsi all’istante da una situazione spiacevole, che determina conseguenze negative nell’immediato. Chi si confessa colpevole pur non essendolo, però, sottovaluta le conseguenze a lungo termine delle proprie ammissioni, protetto dalla consapevolezza della propria estraneità ai fatti.
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Proprio per questo motivo, secondo il diritto la confessione non costituisce di per sé una prova legale. Essa, infatti, deve essere validata dal giudice, a cui è richiesto di tener conto del contesto, della credibilità del sospettato e di altri riscontri a supporto di tali dichiarazioni.
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