Riportato in vita un batterio dell’Età della Pietra: ecco dov’era

“Igienisti mentali” di pazienti vissuti 300.000 anni fa

 

Incredibile ma vero: un gruppo di ricercatori dell’Università di Harvard ha riportato in vita un batterio risalente all’Età della Pietra, il cui DNA era racchiuso nel tartaro depositato sui denti dell’uomo di Neanderthal. Questa parte del corpo, infatti, è l’unica che si fossilizza nel corso della vita e che conserva materiale genetico con un potenziale di sopravvivenza simile per le scoperte archeologiche.

Ad aprire la strada allo studio del tartaro è stata Christina Warinner, professoressa associata di antropologia ad Harvard ed esperta di archeologia biomolecolare. Riguardo alla peculiare tecnica utilizzata, la scienziata ha spiegato: “Usiamo gli stessi strumenti di uno studio dentistico, possiamo definirci igienisti dentali molto tardivi. Così si ottengono solo frammenti di materiale genetico altamente degradato. Un genoma batterico tipico è lungo 3 milioni di coppie di basi, ma il tempo frammenta il DNA antico che recuperiamo a una lunghezza media di sole 30-50 coppie di basi. In altre parole, ogni antico genoma batterico è come un puzzle di 60.000 pezzi e ogni pezzo di tartaro contiene milioni di genomi“.

Il progetto Moonshot

Tre anni fa, Warinner e il uso team hanno inaugurato un progetto innovativo, chiamato Moonshot. Il loro obiettivo consiste nel ricomporre in modo digitale un genoma, a partire da frammenti di DNA sequenziati.

La tecnica è stata applicata al DNA estratto dal tartaro dentale di 12 esemplari di Neanderthal, risalenti a un lasso di tempo compreso tra 40.000 e 102.000 anni fa, e 34 esseri umani vissuti tra 150.000 e 300.000 anni fa. In questo modo, “Oltre ai soliti sospetti, siamo stati in grado di ricostruire anche alcuni genomi che non erano noti prima. Questo ha portato alla scoperta di nuove specie orali“.

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Dopo aver ricostruito le sequenze genetiche, gli scienziati hanno sintetizzato e trasferito il materiale a batteri in vita, che hanno iniziato a produrre le stesse sostanze codificate dai geni antichi. La ricerca non si è certo arrestata qui: il team continua a portare avanti il suo progetto con l’obiettivo di scoprire nuove specie che siano in grado di produrre molecole terapeutiche.

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