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In Giappone si sa, il senso del dovere è sacro. Ma per un autista di autobus della città di Kyoto, quel senso si è trasformato in una lezione estremamente costosa. Dopo quasi trent’anni di onorato servizio al volante, ha visto sfumare davanti agli occhi la sua pensione da circa 84.000 euro. Il motivo? Aver intascato circa 7 euro (ovvero 1.000 yen) invece di inserirli nella macchina conta-fare.
La scena incriminata è stata immortalata nel 2022 da una delle onnipresenti dashcam installate sugli autobus. Quando i funzionari dell’Ufficio Trasporti di Kyoto hanno esaminato il filmato, hanno notato il gesto “innocente” ma proibito. Alla richiesta di spiegazioni, l’autista ha negato ogni addebito, ma è stato comunque licenziato. La beffa finale è arrivata con l’annullamento del trattamento pensionistico, maturato in quasi tre decenni di lavoro solitario e su gomma.
Come spesso accade nei drammi burocratici, la questione si è trascinata in tribunale. Il dipendente ha fatto causa alla città, sostenendo che il provvedimento fosse sproporzionato rispetto alla “gravità” del gesto. Inizialmente sembrava che il vento fosse cambiato a suo favore: una Corte d’Appello aveva infatti annullato la sanzione, giudicandola eccessiva.
Ma i funzionari comunali non hanno gradito il colpo di scena legale. Così, hanno portato il caso fino in Corte Suprema, la quale ha ribaltato la sentenza d’appello e confermato il licenziamento e la perdita della pensione. Il messaggio è stato chiaro: anche un piccolo furto può intaccare la fiducia collettiva nel sistema dei trasporti pubblici.
Il portavoce dell’Ufficio Trasporti di Kyoto, Shinichi Hirai, ha difeso la scelta dell’ente. Secondo lui, quando ogni conducente lavora da solo e gestisce contanti, non si possono tollerare neanche le infrazioni minime. Perché, se si chiude un occhio una volta, la macchina pubblica rischia di deragliare. Non a livello meccanico, ma a livello di fiducia.
“Se non si accettano misure severe, l’intera organizzazione potrebbe diventare negligente” ha dichiarato, sottolineando che anche solo 1.000 yen possono diventare il simbolo della differenza tra trasparenza e collasso morale del sistema.
La vicenda ha suscitato dibattiti accesi in Giappone, dove il rigore professionale viene solitamente premiato. Ma qui la proporzione tra la colpa e la pena ha fatto alzare più di un sopracciglio. È giusto sacrificare quasi trent’anni di carriera per un singolo errore, per quanto scorretto?
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Al di là della questione etica, resta il fatto che il protagonista della storia ha perso tutto. Non solo l’impiego, ma anche quei circa 25 metri di carta (in metaforico riferimento ai documenti della pensione) che rappresentavano una vecchiaia serena. Nel frattempo, il Giappone ha ribadito il suo standard inflessibile: chi gestisce denaro pubblico non può permettersi leggerezze, nemmeno da 7 euro.
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