Scoperto cosa succede esattamente al tuo cervello mentre corri, lo studio

Un nuovo studio ha scoperto cosa succede esattamente nel nostro cervello durante la corsa

 

Diversi studi in passato hanno indagato sui benefici della corsa, ma mai prima d’oggi si era arrivati a questa straordinaria “risposta”. Gli studiosi dell’Università del Michigan hanno scoperto un ritmo cerebrale molto veloce, che aiuta il lato sinistro del cervello e il destro a comunicare meglio mentre corriamo e anche quando sogniamo. Vi è mai capitato di andare a correre e trovare un qualcosa che intralciasse il vostro cammino, come ad esempio un ramo?

In quel caso, la nostra mente ci porta ad “evitarlo” e ci fa continuare a correre. Ma in che modo il nostro cervello ci ha aiutato ad allontanarci così rapidamente e con precisione dal ramo durante la corsa? La risposta sta proprio in questo ritmo veloce, appena identificato, che collega le due metà. Gli esperti gli hanno dato il nome di spline“, perché assomigliano visivamente alle scanalature meccaniche, ovvero ai denti a incastro sugli ingranaggi.

Le spline si vedono anche durante il movimento rapido degli occhi, ossia durante la fase REM

“Le scanalature diventano anche più forti e ancora più precise quando si corre più velocemente. È probabile che questo aiuti la parte sinistra e destra del cervello a calcolare in modo più coeso e rapido quando un animale si muove più velocemente”, ha commentato la prima autrice dello studio Megha Ghosh. Le spline si vedono anche durante il movimento rapido degli occhi, ossia durante la fase REM. Questo vuol dire che sono in grado di coordinare le informazioni durante il sonno, forse aiutando a consolidare le esperienze di veglia in ricordi a lungo termine. Lo studio interessa la parte del cervello chiamata corteccia retrospleniale.

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Questa regione è quella che ci fa capire quando svoltare a destra o sinistra, ed è anche importante per la memoria e l’immaginazione. Tuttavia, è anche una delle prime parti a essere danneggiata negli affetti dal morbo di Alzheimer. I ricercatori hanno sottolineato: “La corteccia retrospleniale viene alterata molto presto nella malattia di Alzheimer, ciò significa che potremmo essere in grado di utilizzare i ritmi spline, nelle persone, come biomarcatore precoce per l’Alzheimer. Attualmente stiamo studiando questa possibilità in modelli preclinici di malattie neurodegenerative”.

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