Spread: il metodo di Harvard per diventare virali sui social

Il framework Spread spiega come creare contenuti social che fanno parlare il pubblico

 

Essere virali sui social non è più questione di fortuna, ma di metodo. O almeno, così sostiene David Dubois, docente dell’Insead e mente dietro il modello Spread, pubblicato sulla Harvard Business Review. In un’epoca in cui basta uno scivolone per finire in un flame, Harvard prova a riportare un po’ di scienza nella giungla degli algoritmi.

La premessa è semplice: se vuoi che il tuo post faccia il giro del web, deve valere la pena di essere condiviso. Non basta gridare, serve significato. Solo il 5% dei contenuti riesce a emergere, e spesso per motivi sbagliati — indignazione, gaffe, scandali. Spread propone invece sei dimensioni misurabili per capire cosa funziona davvero online.

Le sei leve della condivisione intelligente

Sensitive” indica contenuti con un valore sociale, che riflettono empatia o identità, come la campagna Cost of Beauty di Dove o il gufo di Duolingo. “Provocative” è la seconda leva, quella che fa discutere ma con criterio: funziona se stimola riflessione, non se scatena odio. Patagonia, con il suo “Don’t Buy This Jacket”, è l’esempio virtuoso; Apple, con lo spot “Crush”, quello da non imitare.

Poi arriva la “Replicability”: la possibilità di imitare o remixare il contenuto, come nel caso delle sfide Heinz o dei meme. Infine “Distributive”, cioè la capacità del messaggio di viaggiare tra le piattaforme, come ha dimostrato la campagna globale di Barbie con i suoi filtri e hashtag personalizzabili.

Emozione, ambiguità e la scienza del “post perfetto”

Le ultime due leve – “Emotional” e “Ambiguous” – lavorano insieme. La prima punta al cuore, la seconda al cervello. Un contenuto emotivo genera connessione, uno ambiguo stimola curiosità e conversazione. Entrambi sono carburante per la viralità.

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A confermarlo è anche una ricerca della Baylor University, che ha analizzato 600mila sessioni digitali: i contenuti emotivamente intensi e facili da leggere tengono alta l’attenzione più a lungo. In sintesi, non serve essere geniali o scandalosi: basta essere chiari, coinvolgenti e progettati per essere diffusi, non solo pubblicati. Harvard, insomma, ha riscritto la ricetta del post perfetto: un po’ di cuore, una spruzzata di cervello e zero improvvisazione.

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