Fonte: Pexels
Se piangi ascoltando una canzone strappalacrime o ti trasformi in Mick Jagger appena parte il ritornello, potresti avere una giustificazione scientifica: la colpa è del DNA. Lo dice la genetica, non una scusa creativa per giustificare le tue playlist discutibili. Uno studio pubblicato su Nature Communications e condotto dal Max Planck Institute ha infatti dimostrato che la sensibilità alla musica è, in buona parte, ereditaria.
La ricerca ha coinvolto più di 9.000 gemelli, paragonando gemelli identici e non identici per capire se la passione musicale fosse una questione di geni o solo di gusti personali. I risultati? I gemelli omozigoti hanno mostrato risposte musicali più simili rispetto ai fratelli eterozigoti, suggerendo che le note musicali parlano anche il linguaggio dell’ereditarietà.
Secondo gli autori, circa il 54% della variabilità nella risposta alla musica è legata al patrimonio genetico. Non solo: i ricercatori hanno scoperto che esistono specifici percorsi genetici che influenzano diversi aspetti del piacere musicale, come la capacità di sentire il ritmo, la voglia di ballare o l’emozione che nasce da un brano ben orchestrato.
Questa sensibilità musicale è parzialmente indipendente da quella legata alla ricompensa in generale, ovvero non è detto che se ti piace il cioccolato impazzirai anche per Chopin. I geni che ci spingono a commuoverci con un assolo di violino non sono gli stessi che ci fanno amare un tramonto o una fetta di torta.
La notizia potrebbe sembrare poco romantica: scoprire che il tuo amore per il rock progressivo potrebbe dipendere più da una sequenza di basi azotate che dal tuo raffinato gusto personale è un bel colpo. Ma la genetica non decide tutto. Come in una buona sinfonia, c’è sempre una parte suonata dall’ambiente, dalle esperienze di vita e dalla cultura.
Tanto per chiarire: lo studio ricorda che persino Beethoven, secondo un’analisi del suo DNA, non aveva un profilo genetico particolarmente favorevole alla musica. Eppure è riuscito a diventare Beethoven lo stesso. Quindi no, non basta avere i “geni giusti” per scrivere la Nona Sinfonia.
Quando ascoltiamo musica, il nostro cervello rilascia dopamina, la molecola della ricompensa. Ma non è un meccanismo universale uguale per tutti. In alcune persone il sistema di ricompensa si accende come un juke-box impazzito, mentre in altre rimane silenzioso come un flauto in sciopero. E questo, ancora una volta, dipende anche dal DNA.
Leggi anche: Ascoltiamo sempre più musica: 20 ore e 54 minuti alla settimana
Inoltre diversi gruppi di neuroni si attivano durante l’ascolto, dimostrando che l’esperienza musicale coinvolge il cervello su più livelli: dalla memoria alle emozioni, fino alla percezione del ritmo. Insomma la musica è una questione complicata, e per capirla non bastano le classifiche di Spotify.
Share