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Chi ha detto che il tradimento è solo una questione di corna e lacrime non ha mai affrontato un vero crollo emotivo. Perché quando si parla di tradimento, non si tratta solo di un fatto, ma di una voragine che si apre sotto i piedi. Si sgretola la fiducia, certo, ma anche l’immagine dell’altro e, diciamolo, pure un po’ la nostra.
E allora che fare? Si piange, si grida, si mangiano biscotti direttamente dalla confezione, ma poi arriva quella parola difficile da digerire: perdono. Una parola che sembra quasi offensiva quando si è ancora nel mezzo della tempesta. Eppure, il perdono ha meno a che fare con l’altro e molto più con noi stessi.
Il perdono non è una medaglia al valore dell’infedeltà altrui. Non è un “facciamo finta di niente” né tantomeno un “me lo meritavo”. È più simile a togliersi uno zaino pieno di macigni dalla schiena. Quando si perdona, non si giustifica l’offesa, si decide di non rimanere prigionieri del rancore.
Questa scelta non è immediata, né obbligatoria. È un processo che parte dal guardarsi dentro e riconoscere che, per quanto bruci, il rancore non costruisce nulla. Soprattutto, non restituisce la serenità. In certi casi, si perdona per poter restare. In altri, per potersene andare senza portarsi dietro un peso tossico.
Dopo un tradimento, si entra in una zona grigia fatta di domande scomode. Vale la pena restare? C’è ancora qualcosa da salvare? O è meglio chiudere, magari con un’ultima telefonata poco zen ma molto onesta?
Non esistono risposte universali. Ogni relazione ha la sua storia, i suoi silenzi, i suoi inciampi. Ricostruire richiede più di un bouquet di scuse. Servono fatti, coerenza e un bel po’ di pazienza. Chi ha sbagliato deve assumersi la responsabilità senza difendersi dietro frasi del tipo “non so cosa mi è preso”. Chi è stato ferito ha diritto al tempo e a parole vere, senza pressioni.
A volte si decide di restare, a volte di partire. In entrambi i casi, il perdono resta un passaggio fondamentale per uscire dal tunnel. Non è tanto per salvare il rapporto, quanto per salvare se stessi. Il tradimento non definisce il valore di chi lo subisce, ma può far emergere il bisogno di riconnettersi con la propria dignità.
Perdonare può voler dire anche smettere di rimuginare di notte sul “perché proprio a me”, e iniziare a rimettere insieme i pezzi. Magari con l’altro, se lo merita. Magari da soli, se è il caso. Non si tratta di essere buoni, ma di volersi bene.
Il dolore c’è e va attraversato, non saltato. Piangere in pigiama guardando serie tv discutibili è legittimo. Ma poi serve anche riprendere in mano la propria storia. Che sia per continuare un percorso di coppia o per iniziare una nuova pagina, il perdono è un modo per uscire dal ruolo di vittima e tornare protagonisti.
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In fondo il tradimento può essere l’occasione per guardare in faccia ciò che non andava. Non sempre è un male necessario, ma può rivelarsi un punto di svolta. Con la giusta dose di ironia, consapevolezza e un buon paio di scarpe, si può andare oltre. Anche senza dimenticare, ma scegliendo di non restare fermi.
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