Quando si parla di tsunami, l’immaginazione vola subito verso isole tropicali e oceani sterminati. E invece no: anche il nostro caro e affollato Mediterraneo potrebbe essere teatro di onde anomale degne di un film catastrofico. Lo dice l’UNESCO, non un pessimista da spiaggia. Secondo gli scienziati, entro il 2055 il rischio non è affatto da sottovalutare.
La notizia fa sobbalzare più di un bagnino: sì, potremmo avere un vero tsunami che colpisce le coste europee. E non stiamo parlando di onde da Instagram, ma di eventi geologici legati a movimenti tettonici reali, con conseguenze potenzialmente gravi.
L’area sorvegliata speciale è il Mar di Alboran, tra Spagna e Nord Africa. Qui, le placche tettoniche si sfiorano con un certo nervosismo. Bastano pochi secondi di scossa improvvisa perché una massa d’acqua decida di cambiare la geografia costiera nel giro di mezz’ora.
Anche onde alte appena un metro, in un mare che normalmente è calmo come una piscina condominiale, possono causare danni consistenti. Porti, stabilimenti balneari, villaggi turistici e centri urbani lungo la costa sono i primi a farne le spese, soprattutto se costruiti senza tener conto di questi rischi.
Non si tratta di un’ipotesi del tutto nuova. Negli ultimi 100 anni, il Mediterraneo ha già registrato un centinaio di tsunami, anche se la maggior parte non ha causato scenari da fine del mondo. Tuttavia, l’aumento della popolazione costiera e l’espansione edilizia senza freni hanno moltiplicato la vulnerabilità del territorio.
E no, non è solo questione di fatalità. La preparazione fa la differenza tra una fuga ordinata e un panico generalizzato. E in molte zone, purtroppo, la consapevolezza del rischio è ancora troppo bassa per affrontare una crisi del genere in modo efficace.
Per fortuna, qualcosa si muove. I Paesi affacciati sul Mediterraneo stanno investendo in sistemi di allerta rapida. Boe intelligenti, sensori sottomarini e reti di monitoraggio stanno diventando parte integrante della sorveglianza marittima. Ma la vera sfida resta culturale.
Sapere cosa fare nei primi dieci minuti può cambiare completamente l’esito di un’emergenza. Eppure, mentre si moltiplicano i corsi di cucina e yoga in spiaggia, mancano ancora programmi efficaci di educazione al rischio per i residenti e i turisti.
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Nessuno vuole rovinare le vacanze con scenari apocalittici, ma ignorare il problema non lo rende meno reale. L’obiettivo non è vivere nella paura, ma con un po’ di sano realismo. Sapere dove sono le vie di fuga, come rispondere a un’allerta e quali comportamenti evitare può davvero fare la differenza. In fondo, prevenire uno tsunami non è possibile. Ma ridurne l’impatto, quello sì. E per farlo serve solo una combinazione vincente: tecnologia, buon senso e la capacità di credere che anche il nostro piccolo mare può fare le onde grosse.
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