Voltarsi dall’altra parte di fronte a situazioni ingiuste o immorali: uno studio ne spiega i motivi

L’indifferenza delle persone è generata da specifiche dinamiche sociali e psicologiche

 

La tendenza umana a distogliere lo sguardo da comportamenti immorali e ingiusti è un fenomeno complesso e multifattoriale, oggetto di recenti studi che cercano di svelarne le radici psicologiche e sociali. Questo comportamento, che può manifestarsi come una deliberata ignoranza o una razionalizzazione delle azioni altrui, ha profonde implicazioni per la coesione sociale e la lotta contro le disuguaglianze.

La reazione di fronte alle ingiustizie

I ricercatori dell’Università Metropolitana di Osaka, in Giappone, hanno condotto una serie di esperimenti in cui le persone assistevano a situazioni ingiuste e potevano decidere come reagire, e se infliggere una punizione a chi commetteva l’ingiustizia. Dallo studio è emerso che le persone scelgono deliberatamente di ignorare l’ingiustizia. Più che semplice egoismo, l’evitamento rappresenta un meccanismo di difesa mentale che ci aiuta a gestire situazioni moralmente difficili. «Riconoscere l’ingiustizia obbliga gli individui a valutare se accettare o meno il costo della somministrazione di una punizione, che può imporre oneri cognitivi e psicologici anche se si sceglie di non infliggerla», spiegano i ricercatori. Essere consapevoli dell’ingiustizia ci costringe a calcoli morali mentalmente impegnativi che si preferisce evitare.

Il conformismo sociale

Una delle principali spiegazioni di questa indifferenza risiede nella pressione al conformismo sociale e nel desiderio di mantenere l’armonia all’interno di un gruppo. Le persone spesso evitano di denunciare comportamenti scorretti per paura di subire ritorsioni o semplicemente per evitare l’imbarazzo sociale. Questa dinamica è particolarmente evidente in contesti dove esiste una forte gerarchia o dove la devianza è vista negativamente. La ricerca suggerisce che, in tali situazioni, gli individui possono persino arrivare ad auto-ingannarsi, minimizzando la gravità dell’atto o spostando la colpa sulla vittima, pur di non affrontare la dissonanza cognitiva generata dalla consapevolezza di un’ingiustizia e dalla propria inerzia.

Un altro fattore significativo è la “cecità morale” o l’incapacità di riconoscere un comportamento come ingiusto o immorale. Questo può derivare da una varietà di cause, tra cui la mancanza di empatia, l’abitudine a determinate norme sociali, anche se discutibili, o la tendenza a giustificare le azioni di coloro con cui ci si identifica. Studi recenti hanno evidenziato come la percezione dell’ingiustizia possa essere modulata da fattori contestuali e da bias cognitivi. Ad esempio, la distanza psicologica o fisica dalla vittima può ridurre la propensione a intervenire o anche solo a riconoscere l’atto come problematico.

La “normalizzazione” delle ingiustizie

Inoltre, la narrativa prevalente e la rappresentazione mediatica di certi eventi possono influenzare notevolmente la percezione pubblica dell’equità e dell’ingiustizia, portando a una normalizzazione di condotte che altrimenti sarebbero considerate inaccettabili.

Allo stesso tempo, la percezione di impunità degli aggressori o l’inefficacia delle sanzioni può scoraggiare l’intervento da parte di osservatori. Il timore di conseguenze negative personali, come il rischio di essere coinvolti in dispute o di subire danni, è un deterrente potente.

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L’insieme di questi fattori contribuisce a creare un ambiente in cui l’indifferenza diventa una risposta comune, perpetuando cicli di ingiustizia e offuscando la percezione collettiva di ciò che è moralmente accettabile.

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