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In Giappone sta crescendo la moda dei Crying Café, locali pensati per chi desidera piangere e sfogarsi senza sentirsi osservato o giudicato. In una società dove il controllo delle emozioni è la norma, questi bar diventano un’oasi in cui le lacrime non solo sono tollerate, ma quasi incoraggiate come pratica di benessere personale.
Il primo a inaugurare questa tendenza è stato il Bar Mori Ouchi a Tokyo, aperto nel 2020. All’ingresso campeggia il cartello Negative people only, chiaro messaggio: qui non si finge felicità, si celebra la tristezza. L’unica regola è ordinare almeno un drink, mentre tutto il resto – dalla durata della permanenza al cibo – resta libero e personale.
Il fenomeno dei Crying Café si lega al rui katsu, pratiche collettive di pianto diffuse anche in ambito lavorativo per ridurre lo stress. Alcuni hotel giapponesi, come il Mitsui Garden Yotsuya a Tokyo, offrono stanze dedicate al pianto, con film strappalacrime, fazzoletti sempre a portata di mano e comfort per creare un ambiente intimo, spendendo circa 60 euro a notte.
Questi spazi mostrano come il pianto possa diventare un rituale di liberazione emotiva, trasformando la fragilità in una forma di consapevolezza personale. Riconoscere le proprie emozioni e condividerle diventa un gesto di forza, un antidoto contro la pressione sociale che caratterizza la vita urbana giapponese.
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La diffusione dei Crying Café riflette il bisogno di trovare momenti di sollievo dallo stress, soprattutto in culture dove la compostezza è un obbligo sociale. Se in Italia il bar resta un luogo di socialità e sorrisi, il modello giapponese dimostra che concedersi una lacrima può essere altrettanto benefico. Questi bar insegnano che la tristezza non va nascosta, ma valorizzata come parte della vita quotidiana. Concedersi di piangere ogni tanto non è debolezza: è un modo per prendersi cura del proprio benessere mentale, e chissà, forse anche per tornare più forti e sereni nella giungla della vita urbana.
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