Fonte: Commenti Memorabili
Sognare di farla pagare al colpevole può sembrare da film di serie B, ma la psicologia moderna non la pensa così male. Anzi, le fantasie di vendetta — se non vengono tradotte in realtà, ovviamente — possono avere un ruolo prezioso nel difficile cammino di chi cerca di guarire da un trauma. Non si tratta di giustificare l’odio, ma di riconoscerne la funzione: quella di restituire potere a chi l’ha perso.
Secondo diversi terapeuti specializzati in disturbo post-traumatico, immaginare una vendetta è un modo per ribaltare mentalmente il copione in cui si è rimasti bloccati. La vittima si prende la scena, anche solo per qualche secondo, e riscrive l’evento dando spazio alla propria forza. Non è giustizia, non è azione reale. È una forma primitiva ma efficace di rielaborazione emotiva.
Prima di immergersi in queste dinamiche mentali, però, serve una base solida: sentirsi al sicuro. Non basta chiudere gli occhi e immaginare la punizione del colpevole. Occorre prima creare le condizioni emotive per poter gestire il contenuto di queste fantasie senza esserne travolti. Costruire fiducia nel terapeuta, apprendere tecniche di regolazione emotiva e rafforzare la propria rete di supporto sono passaggi obbligatori.
Una volta messo in sicurezza questo terreno interiore, il paziente può cominciare a esplorare la propria rabbia senza paura. E quella rabbia, se ben accompagnata, può aprire le porte ad altri sentimenti rimasti bloccati. Spesso, dietro l’immagine vendicativa, c’è una verità più fragile che fatica a emergere: la colpa di non aver potuto fare di più, il dolore per le persone perse, la paura che non se ne va.
Le emozioni, nel contesto del trauma, non seguono le buone maniere. Rabbia e desideri aggressivi non sono segnali di squilibrio, ma reazioni comprensibili in chi ha vissuto situazioni fuori controllo. Concedersi lo spazio mentale per immaginare una rivincita permette di accedere a quelle emozioni profonde che spesso restano congelate.
In alcuni casi, dare parola alla propria rabbia ha un effetto immediato: il bisogno di vendetta si dissolve da solo, come se fosse servito solo da chiave per aprire una porta chiusa. In altri, il percorso è più lento, ma comunque necessario. Naturalmente, tutto questo ha senso solo se si resta nel campo dell’immaginazione. Passare all’azione, anche solo con piccoli gesti vendicativi, rischia di rallentare la guarigione o peggio, peggiorarla.
Va detto chiaramente: non tutti trovano beneficio in questo tipo di esplorazione. Per alcune persone, rivivere continuamente la scena della vendetta, anche solo mentalmente, può aumentare il livello di ansia e mantenere il cervello intrappolato nel trauma. Se l’immaginazione non porta sollievo o introspezione, ma solo tensione e angoscia, allora è meglio fermarsi. In questi casi è importante tornare a lavorare sul senso di sicurezza e stabilità interiore, magari con tecniche meno intense.
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La fantasia di vendetta non è una cura universale, ma uno strumento possibile tra molti altri. E come tutti gli strumenti, funziona solo nelle mani giuste e nel momento giusto. La psicologia non propone la vendetta come soluzione, ma riconosce che l’idea di vendetta può avere un ruolo catartico. Non si tratta di diventare eroi tragici assetati di giustizia, ma di riconoscere la forza delle proprie emozioni per poterle finalmente trasformare. Anche la rabbia ha diritto di parola, se sappiamo ascoltarla con attenzione e in un contesto sicuro. Perché talvolta, per guarire, bisogna passare anche per la fantasia.
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