Giovani cinesi disoccupati pagano false aziende per assumerli per fingere di lavorare

Uffici finti per veri disoccupati: in Cina si paga per finta lavorare

 

Quando la realtà del mercato del lavoro stringe, la fantasia prende il sopravvento. In Cina, sempre più giovani disoccupati stanno aderendo a un trend che suona surreale: pagare per andare in ufficio. No, non per trovare un impiego, ma per fingersi impiegati. Succede davvero, e il tutto avviene sotto forma di “aziende finte” che, dietro pagamento, offrono scrivanie, Wi-Fi, area relax e addirittura compiti finti.

I costi? Una cifra che va dai 30 ai 50 yuan al giorno, ovvero tra i 4 e i 7 dollari. Per chi cerca qualcosa di più realistico, ci sono pacchetti premium con manager fittizi, email inventate e anche simulazioni di crisi aziendali. Un’esperienza immersiva per chi sente la nostalgia dell’ambiente lavorativo… senza mai averlo conosciuto davvero.

Disoccupati sì, ma con stile

Il fenomeno nasce da un mix di fattori che rendono la proposta curiosamente vantaggiosa. Da un lato c’è una gioventù urbana sempre più colpita dalla disoccupazione (il 16,5% tra i 16 e i 24 anni, esclusi gli studenti), dall’altro ci sono gli affitti bassissimi di spazi ufficio in metropoli come Pechino. Il risultato? Simulare la vita da impiegato diventa non solo possibile, ma anche più economico di passare la giornata in un bar con Wi-Fi.

Molti partecipanti non lo fanno per trovare un’occupazione, ma per spezzare la monotonia casalinga. Alcuni lo vedono come un’alternativa “produttiva” allo stare a casa, altri come una curiosa forma di socializzazione. In un certo senso, si va in ufficio per noia, non per lavoro.

Finzione e realismo: lavorare senza stipendio

Ma cosa si fa in queste aziende fittizie? Le attività sono variegate, tutte rigorosamente inutili. Si può compilare una tabella Excel senza dati, rispondere a email che nessuno leggerà o partecipare a riunioni simulate in cui si discute di nulla. L’importante è sembrare occupati, proprio come nei veri uffici.

Per chi cerca un’esperienza ancora più credibile, sono disponibili servizi extra: finte telefonate da parte del “capo”, briefing con termini aziendalesi inventati e perfino proteste organizzate da colleghi simulati. Insomma, tutto il peggio (e il meglio) del lavoro, senza contratto né busta paga.

Cultura del lavoro o cultura dell’apparenza?

Il fenomeno delle finte aziende non è solo una curiosità da raccontare: è anche uno specchio della pressione sociale che i giovani cinesi affrontano. In una cultura dove l’identità professionale è centrale, fingere di avere un lavoro può diventare un modo per rispondere alle aspettative familiari o evitare lo stigma della disoccupazione.

Ma dietro la parodia dell’impiegato si nasconde anche una riflessione amara. Quando il lavoro diventa un’esperienza da simulare a pagamento, qualcosa si rompe nel rapporto tra formazione, occupazione e autorealizzazione. Eppure, in questa realtà alternativa, molti giovani trovano un po’ di ordine, routine e perfino una strana forma di benessere.

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Un ufficio senza scopo, ma con il Wi-Fi

Alla fine, si tratta di pagare per fingere di essere occupati, con la speranza che prima o poi quel finto lavoro possa portare a uno vero. Oppure no. Perché in fondo, anche senza contratto, c’è chi preferisce alzarsi la mattina, indossare una camicia e sedersi alla scrivania, fosse pure in un ufficio di cartapesta. Magari solo per sentirsi un po’ meno invisibile in una società che misura il valore personale a colpi di badge e timbrature. Se il lavoro nobilita l’uomo, allora forse anche la sua parodia ha qualcosa da dire. In attesa di un impiego reale, meglio un ufficio finto che nessun ufficio affatto.

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