Fonte: Pexels
I selfie sono diventati un elemento imprescindibile della comunicazione visiva contemporanea, soprattutto sui social media come Instagram, dove rappresentano una forma popolare di autoespressione e narrazione personale. Sebbene la tendenza sembri moderna, il desiderio umano di autorappresentazione affonda le sue radici in tempi antichi, dalle pitture rupestri agli autoritratti.
Il primo selfie documentato risale addirittura al 1839, quando Robert Cornelius scattò una fotografia di sé stesso. Tuttavia, con la diffusione degli smartphone e dei social network, l’atto di scattarsi un selfie ha acquisito una rilevanza psicologica e sociale molto più ampia.
Nonostante l’associazione diffusa tra selfie e narcisismo, le motivazioni reali dietro questo comportamento sono molteplici e complesse. Il selfie non è solo un modo per mostrare la propria immagine, ma anche uno strumento per raccontare una storia, costruire un’identità e comunicare esperienze. Le persone scelgono consapevolmente come rappresentarsi (dall’angolazione della foto ai filtri) per controllare la percezione sociale che gli altri hanno di loro. Ottenere like, repost e commenti positivi offre un senso di approvazione e conferma che la rappresentazione scelta ha avuto successo.
Affinché un selfie sia tale, deve mostrare tutto il viso ed è generalmente più accettabile definire un’immagine “selfie” quando è immortalata una sola persona, mentre ora il termine si è generalizzato anche a un gruppo intimo che sta dietro la persona messa a fuoco, come il famoso selfie di gruppo di Ellen DeGeneres agli Oscar 2014, diventato lo scatto più twittato della storia con oltre 3 milioni di condivisioni e 2 milioni di like.
La ricerca evidenzia anche come lo scatto di un selfie sia spesso legato al valore attribuito a un’esperienza: più è significativo un evento, più è probabile che venga immortalato in un selfie. Esperimenti condotti con oltre 2.000 partecipanti hanno mostrato che chi attribuiva più importanza a un momento tendeva a inserirsi personalmente nella foto, mentre le immagini “anonime”, senza il soggetto in primo piano, erano associate a una semplice documentazione dell’ambiente. Questo dimostra che i selfie aiutano a legare il valore personale dell’esperienza all’immagine visiva.
Il narcisismo non è tra le motivazioni principali che spingono una persona a scattarsi un selfie, mentre sono più accentuate la volontà di connessione sociale, la condivisione di esperienze significative e persino l’uso funzionale del selfie, come nel caso della promozione personale o del lavoro sui social.
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Infine, i selfie vengono riconosciuti anche per il loro potenziale ruolo positivo: possono rafforzare i legami sociali, migliorare l’autostima, favorire la body positivity e offrire un canale per esprimere la propria identità. Lungi dall’essere meri atti di vanità, riflettono un intreccio complesso di bisogni emotivi, relazionali e simbolici. Esprimono non solo come vogliamo apparire, ma anche chi siamo e come vogliamo essere ricordati.
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