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TikTok, Instagram Reels e YouTube Shorts sono diventati il passatempo preferito di milioni di persone. La formula è semplice: contenuti rapidi, divertenti, sempre nuovi. Ma dietro questa apparente leggerezza si nasconde un meccanismo che sta riscrivendo il modo in cui funziona il cervello.
I video brevi sono infatti progettati per attivare continuamente il sistema della ricompensa. Ogni swipe equivale a una piccola scarica di dopamina, la molecola che ci fa provare piacere e che alimenta la motivazione. Il problema è che, se tutto diventa gratificazione immediata, le attività che richiedono tempo e concentrazione iniziano a sembrare troppo faticose.
Le ricerche neuroscientifiche hanno mostrato che l’abuso di video brevi modifica aree cerebrali cruciali, come la corteccia orbitofrontale e il cervelletto, che regolano emozioni e gratificazioni. È stata riscontrata anche una maggiore attività nella corteccia prefrontale dorsolaterale, segnale che il cervello viene costantemente messo sotto stimolazione.
Risultato: più tempo si passa tra scorrimenti e like, più diventa difficile restare concentrati su compiti lenti e strutturati. La differenza con l’alcol è netta: mentre quest’ultimo agisce attraverso tossicità fisica, i video brevi operano tramite condizionamento neurologico, in maniera silenziosa ma altrettanto incisiva.
Uno degli effetti più evidenti è sul funzionamento della cosiddetta memoria prospettica, quella che ci permette di ricordare un’azione pianificata. Dopo una maratona di video, ricordarsi di mandare una mail, fare una chiamata o rispettare una scadenza può diventare più complicato del previsto.
Questo fenomeno si lega a quello che i ricercatori chiamano brain rot, una condizione simile al popcorn brain: la mente si abitua a stimoli rapidi e frammentati, perdendo la capacità di sostenere processi cognitivi più lunghi. Leggere un libro o seguire una conversazione diventa così un’impresa.
Gli studi condotti su studenti universitari hanno evidenziato che la dipendenza da video brevi è associata a un incremento della procrastinazione accademica e a una ridotta capacità di gestire l’attenzione. In altre parole, più tempo si passa su TikTok e simili, meno tempo resta per studiare o portare a termine progetti complessi.
Il paragone con l’alcol è interessante: quest’ultimo danneggia il cervello con il tempo, ma i video brevi lavorano diversamente, spostando le soglie di gratificazione. Non si tratta di tossicità chimica, ma di un vero e proprio riorientamento delle abitudini cognitive.
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Il successo planetario dei video brevi mostra quanto siano attraenti, ma proprio questo è il punto debole. Un intrattenimento che dura pochi secondi può sembrare innocuo, ma se diventa una routine compulsiva rischia di erodere funzioni mentali fondamentali. La lezione è chiara: non bisogna demonizzare la tecnologia, ma imparare a usarla con consapevolezza. Guardare qualche video divertente non fa male, ma trasformare lo scrolling infinito in un’abitudine quotidiana significa allenare il cervello alla distrazione e alla gratificazione istantanea. Un esercizio che, a lungo andare, costa caro.
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