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Quando pensiamo a Roma Antica ci vengono in mente il Colosseo, i fasti dei templi e le strade animate del Foro. Ma c’è un dettaglio che difficilmente appare nelle ricostruzioni storiche: l’odore. La capitale dell’Impero non brillava per freschezza e tra rifiuti, animali, corpi sudati e cadaveri abbandonati, l’aria era ben diversa da quella che si respira nei musei archeologici.
Nonostante l’ingegnosità delle fognature romane, gran parte della popolazione non aveva accesso diretto a questi sistemi. Le abitazioni più povere si affidavano a vasi da notte e latrine improvvisate, svuotate in pozzi neri o direttamente in strada. Un “profumo” che non lasciava scampo a chi passeggiava tra le vie della città.
Gli animali da trasporto e da macello contribuivano a rendere le strade un vero campo minato di deiezioni. Le celebri pietre rialzate di Pompei servivano proprio a non immergere i sandali in quello che oggi definiremmo fango… condito da ben altro. A peggiorare il quadro, c’erano i cadaveri, umani e animali, spesso lasciati senza sepoltura. Episodi riportati da cronisti antichi raccontano persino di parti di corpi finite per caso sulle tavole imperiali, segno che la gestione dei rifiuti biologici era tutt’altro che ordinata.
Nemmeno i bagni pubblici miglioravano la situazione. Oggi appaiono come splendidi siti archeologici, ma all’epoca erano affollati, umidi, con acqua stagnante e privi di igiene. Vasche condivise da decine di persone trasformavano il momento del relax in un’esperienza olfattiva tutt’altro che gradevole.
Il corpo dei cittadini non aiutava a rendere l’aria più respirabile. Il sapone era conosciuto ma poco usato, e la maggior parte dei romani preferiva cospargersi di olio d’oliva, per poi rimuoverlo con lo strigile. Il risultato? Un miscuglio di sudore, pelle morta e residui oleosi lanciati qua e là. Non proprio il massimo della pulizia.
Per combattere l’olezzo, però, i romani cercavano rimedi alternativi. Alcuni si affidavano a deodoranti naturali ricavati da erbe e radici, altri li ingerivano convinti che agendo sulla digestione si potesse migliorare l’odore corporeo. Una pratica che oggi farebbe sorridere, ma che all’epoca era considerata medicina.
Fortunatamente, non tutto odorava di marcio. La Roma imperiale importava dall’Oriente spezie pregiate come pepe e cannella, e i flaconi di profumo in vetro soffiato erano diffusi tra le élite. Gli unguenti venivano preparati con oli e aromi di rosa, iris e mirra, creando fragranze raffinate che si diffondevano nelle case e nei templi.
Le rose di Paestum, nel sud Italia, erano celebri per la loro qualità e venivano trasformate in essenze apprezzate in tutto l’Impero. Non mancavano gli incensi bruciati durante cerimonie religiose, considerati un ponte tra uomini e divinità. Persino le statue venivano unte con oli profumati, per rendere l’omaggio agli dèi anche una questione di aromi.
Il risultato complessivo era un panorama olfattivo unico: feci, urina, sudore, fumo di legna, cibi cucinati, cadaveri, profumi floreali e spezie esotiche. Un miscuglio che oggi farebbe storcere il naso a chiunque, ma che per i romani era la normalità. Secondo alcuni storici, quello non era un tanfo insopportabile, ma semplicemente l’odore di casa.
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Roma Antica, dunque, non era solo la capitale politica e culturale dell’Impero, ma anche una città in cui l’olfatto giocava un ruolo centrale nella vita quotidiana. Un promemoria che ci ricorda come la storia non si percepisce solo con gli occhi, ma anche con il naso.
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