Soffri di “social ennui”? Come è finita l’era dei post spontanei

Quando pubblicare diventa imbarazzo: i social che ci impongono autenticità studiata

 

Chi ha mai sentito il desiderio di postare un caffè o una passeggiata spontanea, e poi ha ripensato mille volte prima di farlo? Questo è il fenomeno descritto come social ennui: una noia profonda mista a disagio e smarrimento, che colpisce chiunque si trovi a dover condividere momenti banali sui social. Se un tempo bastava scattare e postare, oggi moltissimi esitano: “sarà troppo cringe?” si chiedono, dimenticando che proprio la banalità appariva autentica nelle prime generazioni social.

Questa trasformazione riflette un cambiamento culturale radicale: da piattaforme che celebravano il dilettantismo e la spontaneità, siamo passati a feed dominati da influencer, conteggi, aspettative e un’algoritmo che premia chi ha già successo. Quel “progetto collettivo” in cui qualsiasi contenuto poteva emergere è lentamente svanito.

Le pressioni invisibili che censurano la spontaneità sui social

C’è chi teme di sembrare banale accanto alla vita superficiale e patinata mostrata dai contenuti degli influencer. Ne deriva un senso di inadeguatezza che frena anche l’idea di condividere il proprio momento quotidiano, come un pranzo o un tramonto. A tutto ciò si aggiunge la pressione sociale e mediatica: dai titoli forti dei giornali distribuiti via social, al carico emotivo delle notizie, che rende difficile condividere la leggerezza.

Generazioni diverse vivono il social in maniera opposta: i Millennial che hanno visto nascere piattaforme social mantenendo un senso di privacy crescente nella mezza età, e la Generazione Z che non ha mai conosciuto la spontaneità pura e oggi preferisce il photo dump plasmato, i reel montati con cura, le immagini filtrate e curate fino all’ultimo dettaglio.

L’algoritmo: il giudice silenzioso

Un tempo scorrere il feed significava trovare post di amici, vicini e perfetti sconosciuti. Oggi, assistiamo al paradosso opposto: i contenuti che otteniamo sono quasi esclusivamente quelli di account già grandi, mentre i post dei nostri contatti personali vengono nascosti. In questa logica, chi posta teme che nessuno vedrà il proprio contenuto: perché sforzarsi di condividere se il proprio cerchio sociale non è “visibile” al feed?

Questa dinamica spegne lentamente la voglia di postare liberamente. Chiunque posta è consapevole di dover “compiacere l’algoritmo” per non finire nel vuoto. Il risultato? Un senso profondo di alienazione tra ciò che viviamo e ciò che condividiamo online.

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Riprendiamoci la spontaneità

C’è chi continua a pubblicare per il gusto di farlo, ignorando il numero dei “mi piace”, per “togliere un pensiero dal cervello e metterlo da qualche parte”, senza aspettarsi reazioni. Forse la via d’uscita consiste proprio qui: accettare di provocare qualche imbarazzo, sperimentare post imperfetti e ridare valore al contenuto sincero. Non come strategia, ma come atto di libertà digitale. Perché, dopotutto, se l’unico obiettivo diventa piacere all’algoritmo, il social smette di essere nostro.

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