Che cos’è la “terapia del rifiuto” che spopola sui social

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Che cos’è la “terapia del rifiuto” che spopola sui social

| 26/07/2025
Fonte: Pixabay

La pratica si pone l’obiettivo di imparare a gestire i “no” che riceviamo dagli altri e ad acquisire maggiore fiducia in noi stessi

  • La terapia del rifiuto, o Rejection Therapy è una pratica che porta le persone ad affrontare situazioni in cui ricevono dei “no” dagli altri
  • L’obiettivo principale è ridurre l’ansia sociale e aumentare la fiducia in sé stessi, trasformando il rifiuto in un’opportunità di crescita
  • Praticando la Rejection Therapy, si impara a separare il valore personale dall’esito di una richiesta o un’azione, comprendendo che un “no” non definisce l’individuo
  • I benefici includono la riduzione della paura del giudizio altrui e lo sblocco di un potenziale inespresso, portando a maggiore fiducia nel perseguire gli obiettivi
  • La pratica non ha basi scientifiche e alcuni psicologi sono scettici sui potenziali benefici

 

La paura del rifiuto è una delle emozioni umane più comuni. Spesso ci impedisce di perseguire i nostri sogni, di esprimere le nostre vere opinioni o di chiedere ciò di cui abbiamo bisogno, imprigionandoci in una zona di comfort che limita la nostra crescita. Ma cosa succederebbe se potessimo trasformare questa paura in una fonte di forza?

Imparare a gestire i “no” ricevuti

Da qualche tempo sui social si è affermata una nuova tendenza che si pone come obiettivo quello di imparare a gestire i “no” che riceviamo dagli altri e ad acquisire maggiore fiducia in noi stessi.

La Rejection Therapy, o “terapia del rifiuto”, è una pratica attraverso cui si cercano situazioni in cui si ricevono rifiuti delle persone, per poi trasformare le delusioni in opportunità di crescita. L’obiettivo principale è quello di ridurre la paura del rifiuto, migliorare la tolleranza allo stress sociale e aumentare la fiducia in sé stessi nel perseguire obiettivi ambiziosi.

La tiktoker Michelle Panning ha raccontato sui social la sua sfida ai “no” che ha portato avanti per trenta giorni. La donna ogni giorno faceva una richiesta insolita ad uno sconosciuto: avere in prestito 100 dollari, fare il manichino vivente nella vetrina di un negozio, andare dietro il bancone di una paninoteca per prepararsi da sola il panino, e così via. Quasi tutte le risposte che ha ricevuto erano ovviamente dei “no”, ma Panning ha raccontato che con il passare dei giorni si sentiva sempre meno imbarazzata nel fare le domande e più a suo agio nel ricevere rifiuti. E sebbene molte delle sue richieste siano state respinte, Panning ha detto di essere rimasta sorpresa nello scoprire che a volte degli sconosciuti le rispondessero di sì. «Mi sono detta: quanto stiamo perdendo della vita semplicemente non chiedendo, perché abbiamo paura di essere respinti?»

Come si mette in pratica

Il concetto fondamentale alla base della Rejection Therapy è che la paura del rifiuto è spesso più paralizzante del rifiuto stesso. Molte persone evitano di chiedere ciò che vogliono, di esprimere le proprie opinioni o di intraprendere nuove iniziative proprio per la paura di sentirsi dire di no. Questa auto-imposta limitazione può portare a rimpianti e a un mancato raggiungimento del proprio potenziale. Cercando attivamente il rifiuto, si impara a separare l’evento del rifiuto dalla propria autostima, riconoscendo che un “no” non definisce il proprio valore intrinseco.

La pratica della Rejection Therapy è stata resa popolare nel 2009 da Jason Comely, che ha sviluppato un gioco di carte basato su questa idea, e successivamente da Jia Jiang, un imprenditore che ha documentato le sue 100 giornate di rifiuto in un popolare libro. Gli autori hanno dimostrato come l’esposizione graduale e ripetuta al rifiuto possa diminuire l’impatto emotivo negativo e aumentare la capacità di recupero. Si inizia con richieste semplici e a basso rischio, che hanno un’alta probabilità di essere respinte, per poi progredire verso situazioni più impegnative.

I pro e i contro

La terapia del rifiuto non ha basi cliniche e non è supportata da studi scientifici, ma molti ne sostengono comunque i benefici. In primo luogo, aiuterebbe a sviluppare una maggiore resilienza emotiva. Ogni rifiuto diventa una lezione, una dimostrazione che si può sopravvivere e prosperare anche di fronte a una risposta negativa. In secondo luogo, ridurrebbe l’ansia sociale e la paura del giudizio altrui. Quando si è disposti a rischiare il rifiuto, si diventa meno preoccupati di ciò che gli altri pensano. In terzo luogo, può sbloccare un potenziale inespresso. Una volta libere dalla paura del “no”, le persone sono più propense a tentare nuove opportunità, a negoziare meglio e a perseguire i propri sogni con maggiore audacia. Si impara che spesso le opportunità si presentano solo se si ha il coraggio di chiederle. Per diversi psicologi invece l’esposizione al rifiuto da parte di persone ansiose potrebbe aggravare la situazione e accentuare la paura del giudizio invece di alleviarla.

È importante sottolineare che la Rejection Therapy non incoraggia la maleducazione o il comportamento irrispettoso con richieste assurde. Al contrario, si tratta di un’esplorazione personale dei propri limiti e delle proprie paure, condotta con consapevolezza e rispetto per gli altri.

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L’obiettivo non è collezionare “no”, ma piuttosto imparare a gestire la risposta emotiva al rifiuto e a vedere oltre la superficie della delusione iniziale, scoprendo lezioni preziose e nuove strade da percorrere. In definitiva, la Rejection Therapy è uno strumento per la crescita personale, che trasforma una delle esperienze umane più temute in un catalizzatore per la fiducia, la perseveranza e il successo.

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