Gli scrittori e artisti che hanno distrutto le proprie opere

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Gli scrittori e artisti che hanno distrutto le proprie opere

| 24/06/2023
Fonte: Pixabay

Nella storia della letteratura e dell’arte ci sono autori che, insoddisfatti delle proprie opere, le hanno destinate all’oblio

  • Non ricevendo attenzione dai critici dell’epoca, Franz Kafka bruciò in vita gran parte dei suoi scritti. Chiese in punto di morte ad un amico di distruggere le opere rimaste, ma fortunatamente non fu ascoltato
  • James Joyce gettò il suo primo romanzo nel fuoco, ma la moglie rischiando le ustioni, ne recuperò una parte che poi confluì nel “Ritratto dell’artista da giovane”
  • Emily Dickinson chiese alla sorella in punto di morte di distruggere tutte le sue carte. La donna obbedì bruciando le lettere ma non le oltre duemila poesie
  • Dante Gabriel Rossetti, sconvolto dalla morte della moglie, mise nella bara un suo taccuino di poesie che riuscì a recuperare sei anni dopo
  • Claude Monet distrusse in vita decine di suoi quadri non ritenendoli all’altezza delle aspettative. Michelangelo con un martello fece a pezzi una scultura della Pietà

 

Nella storia della letteratura e dell’arte molti autori in punto di morte hanno dato disposizione di bruciare o distruggere le proprie opere, affidando l’incarico ad amici o familiari o occupandosene di persona. Fortunatamente non sempre sono stati ascoltati e l’umanità ha potuto godere della bellezza delle loro produzioni artistiche.

Franz Kafka

In vita Franz Kafka pubblicò solo una manciata di opere più brevi che ricevettero una modesta attenzione dalla critica. Afflitto dall’insicurezza, bruciò molti suoi scritti e, consapevole che il suo stato di salute stava peggiorando, chiese al suo amico Max Brond di distruggere tutti i manoscritti incompiuti alla sua morte. Kafka morì di tubercolosi all’età di 41 anni nel 1924 e Brond, sentendo che i testi meritavano di essere condivisi, non esaudì il desiderio dell’amico. Grazie a Brond furono pubblicate le opere più importanti dell’autore, tra cui “Il processo” nel 1925, “Il castello”, nel 1926 e “Amerika” nel 1927.

Emily Dickinson

La poetessa americana chiese a sua sorella Lavinia, poco prima di morire nel 1890, di bruciare tutte le sue carte. Sua sorella obbedì, anche se con riluttanza. Fece bruciare la corrispondenza, ma non le duemila poesie che Emily aveva scritto su quaderni e fogli sciolti. Se avesse eseguito la richiesta ci avrebbe privato di una grande opera.

Lord Byron

Byron scrisse un libro di memorie tra il 1818 e il 1821, in cui raccontava la sua vita e le sue opinioni. Consegnò il manoscritto al poeta Thomas Moore con la clausola che dovesse essere pubblicato solo dopo la sua morte. Moore a sua volta lo vendette a John Murray per la pubblicazione. Alla morte di Byron nel 1824, Moore, Murray e altri amici preoccupati per i contenuti del manoscritto, ritenuti scabrosi, e per la reputazione del poeta, si riunirono e il testo originale e l’unica copia conosciuta, in quello che è stato definito il più grande crimine letterario della storia.

James Joyce

L’autore era talmente scoraggiato dai circa 20 rifiuti che aveva ricevuto dagli editori per il romanzo autobiografico “Stephen Hero” che lo gettò nel fuoco. La storia racconta che sua moglie Nora e sua sorella rischiarono gravi ustioni per recuperarlo, salvando un certo numero di parti incombuste che poi successivamente sarebbero confluite nel successivo romanzo “Ritratto dell’artista da giovane

Nikolai Gogol

Il successo del romanzo “Le anime morte” (1842) portò Gogol ad essere definito il padre del Realismo russo. Altamente religioso, Gogol voleva scrivere un sequel della prima opera promuovendo l’insegnamento di una vita retta. L’ispirazione però cominciò a mancare e l’autore lavorò alla seconda e terza parte del primo libro trovandole però sempre insoddisfacenti. Ritenendolo un segnale di Dio che non approvava il suo lavoro, anche a causa dell’influenza di un prete fanatico, Gogol fu spinto nel 1852 a bruciare il secondo libro delle Anime Morte. L’autore morì 10 giorni dopo a soli 42 anni.

Dante Gabriel Rossetti

Quando l’amata moglie del pittore preraffaellita morì per overdose, Rossetti rimase sconvolto. Mentre la bara veniva sigillata per essere portata via e sepolta al cimitero, l’artista e poeta mise segretamente all’interno un taccuino con tutte le sue poesie più recenti. Sei anni dopo, elaborato il dolore iniziale, Rossetti cercò di ricordare le poesie del taccuino, ma non riuscì in maniera sufficientemente dettagliata. Decise allora di assumere alcuni uomini per riaprire la tomba e recuperare il quaderno. L’operazione riuscì e nonostante il manoscritto fosse gravemente danneggiato, Rossetti pubblicò le poesie con grande successo.

Claude Monet

Nel 1908 Claude Monet distrusse tutti i dipinti sui giardini acquatici a Parigi che avrebbe dovuto esporre in una mostra già ampiamente pubblicizzata. L’artista aveva impiegato tre anni per produrre le opere ma, esaminandole, sentiva che non erano all’altezza delle sue aspettative. Prese quindi un coltello e un pennello rovinando irrimediabilmente 15 quadri. Anche in punto di morte Monet chiese aiuto alla figliastra Blanche per distruggere altre 60 sue opere che non voleva rappresentassero il suo lavoro artistico.

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Michelangelo Buonarroti

Michelangelo è stato uno dei primi artisti che ha distrutto un’opera. Lo scultore ultrasettantenne menre realizzava una Pietà, insoddisfatto del lavoro ancora incompiuto, prese un martello e colpì irrimediabilmente la scultura, staccando gli arti e facendola a pezzi. Fu un servo a rimettere insieme i frammenti e a farla riparare da un collaboratore del maestro, per poi venderla ad un nobile romano, Francesco Bandini, da cui prenderà il nome di “Pietà Bandini“.

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