Mark Zuckerberg fa causa a… Mark Zuckerberg: il paradosso social dell’anno

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Mark Zuckerberg fa causa a… Mark Zuckerberg: il paradosso social dell’anno

| 16/11/2025
Fonte: Facebook

Un avvocato dell’Indiana denuncia Meta perché Facebook lo banna per “falso” Zuckerberg

  • Un avvocato dell’Indiana di nome Mark Zuckerberg fa causa a Meta per i continui ban dai social
  • È accusato di impersonare il fondatore di Facebook, pur avendo il nome da sempre
  • Ha perso 11.000 dollari in pubblicità mai rimborsate dopo i blocchi del profilo
  • Meta ha promesso di risolvere il problema e riconosce che “ci sono più Mark Zuckerberg nel mondo”
  • La vicenda mostra il lato assurdo della burocrazia digitale e degli algoritmi automatici

 

Non è facile chiamarsi Mark Zuckerberg. Soprattutto se non sei il fondatore di Facebook, ma un avvocato fallimentare dell’Indiana con una vita professionale rispettabile e un nome che, a quanto pare, è diventato un problema legale. Da anni, l’omonimo meno famoso deve convivere con un’esistenza costellata di equivoci: riceve oltre cento email al giorno destinate all’altro Zuckerberg e fatica persino a prenotare un tavolo al ristorante, perché nessuno crede che esista davvero un “Mark Zuckerberg” diverso da quello miliardario.

Il problema, però, non è solo sociale. Da otto anni, l’avvocato sostiene di essere stato bannato cinque volte da Facebook e Instagram con l’accusa di “impersonare il fondatore di Meta”. Ogni volta lo stesso messaggio: “Nice try, fake Zuck!”. Ironia della sorte, lui porta quel nome da quando il vero Zuckerberg andava ancora all’asilo.

Quando chiamarsi Mark Zuckerberg diventa un incubo digitale

Stanco di essere considerato un impostore nella vita digitale, il “vero” (ma non quello di Menlo Park) Mark Zuckerberg ha deciso di fare causa a Meta. Secondo la sua denuncia, ha perso oltre 11.000 dollari in campagne pubblicitarie mai rimborsate dopo la disattivazione del suo account. Nonostante le ripetute segnalazioni a Meta dal 2017, non ha mai ricevuto una soluzione concreta.

In un’email inviata nel 2020 alla compagnia, l’avvocato scrive con una punta di sarcasmo: “Se incontrate il giovane, ricco Mark Zuckerberg, ditegli che mi causa grande aggravamento ogni giorno. Dopo il clamore mediatico, Meta ha riconosciuto l’assurdità della situazione e promesso di “lavorare a un sistema che eviti futuri equivoci”.

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Il lato comico di un dramma digitale

Mi sento come nel vecchio spot di Michael Jordan per ESPN” ha dichiarato l’avvocato, “dove un uomo normale vive una vita di fraintendimenti a causa del suo nome”. Una battuta che riassume bene la tragedia ironica di chi è vittima di un algoritmo troppo zelante. La vicenda solleva un interrogativo più ampio: in un mondo in cui l’identità online è gestita da sistemi automatizzati, quanto contano ancora l’anagrafe e il buon senso? Per ora, la risposta sembra essere “poco”. E forse, la prossima volta che Facebook vorrà bloccare un utente sospetto, potrebbe almeno controllare la carta d’identità prima di bannare un uomo per… eccesso di coincidenza.

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