Chi si sposa ha un maggiore rischio di demenza
- Uno studio su 24.000 over 50 americani smentisce i benefici cognitivi del matrimonio
- I non sposati mostrano un rischio di demenza più basso rispetto ai coniugati
- Il tasso di demenza è del 21,9% tra i coniugati, ma solo del 12,8% tra i divorziati
- Le analisi hanno considerato anche fattori genetici, fisici e mentali
- I dati potrebbero cambiare le strategie di prevenzione cognitiva
Essere sposati non è più sinonimo di protezione assoluta per la salute mentale. Una nuova ricerca condotta dal Florida State University College of Medicine ha ribaltato una convinzione piuttosto radicata: chi è sposato avrebbe minori probabilità di sviluppare demenza. Peccato che i dati dicano altro. Dopo aver seguito per 18 anni oltre 24.000 adulti americani sopra i 50 anni, i ricercatori hanno scoperto che a essere più “resistenti” al declino cognitivo sono proprio i non sposati. Divorziati, vedovi o mai coniugati, insomma, sembrano cavarsela meglio in termini di memoria e lucidità.
I risultati hanno sorpreso anche gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia. Le percentuali parlano chiaro: il 21,9% dei coniugati ha sviluppato demenza, contro il 12,8% dei divorziati e il 12,4% dei single. La questione non è solo statistica: si tratta di un cambiamento di rotta che potrebbe influenzare il modo in cui viene affrontata la prevenzione delle malattie neurodegenerative.
Demenza e stato civile: dati e ipotesi
I ricercatori hanno usato modelli statistici avanzati per tenere conto di variabili importanti come età, sesso, salute fisica, stile di vita e predisposizione genetica. Il vantaggio per chi non è sposato si è confermato anche dopo questi controlli. In particolare, i divorziati hanno mostrato un rischio ridotto del 34%, i non sposati del 40% e i vedovi del 27%, rispetto ai coetanei con la fede al dito.
A essere più protetti sembrano soprattutto i mai coniugati e i divorziati. Per i vedovi, il beneficio si attenua quando si considerano altri fattori, ma resta comunque significativo. Anche il passaggio da un lieve deterioramento cognitivo alla demenza conclamata si verifica meno spesso tra chi vive senza un coniuge.
Il matrimonio non è una polizza anti-demenza
Contrariamente a studi precedenti che suggerivano un effetto positivo del matrimonio sulla salute mentale, questa nuova analisi propone una lettura diversa. I ricercatori ipotizzano che lo stress coniugale, il peso delle responsabilità assistenziali e la possibile riduzione delle relazioni sociali possano giocare un ruolo negativo nella salute cerebrale.
È una visione che rompe con i luoghi comuni: non è detto che vivere in coppia offra automaticamente un contesto protettivo. Certo, l’amore fa bene all’anima, ma la mente sembra preferire una certa indipendenza, almeno secondo i numeri raccolti. Lo studio precisa però che il dato non va interpretato in modo semplicistico o generalizzato: non è il matrimonio in sé il problema, ma come si vive la relazione.
Strategie di prevenzione e nuove prospettive
Un punto di forza della ricerca è stato l’uso di protocolli clinici rigorosi e uniformi, che hanno garantito una diagnosi accurata e confrontabile. Questo rafforza la validità delle conclusioni, rendendole utili anche in ambito di salute pubblica. Le implicazioni sono molteplici: se lo stato civile influisce sul rischio di demenza, allora le politiche di prevenzione dovranno considerare anche la condizione sociale e relazionale degli anziani.
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La conclusione dello studio è netta: essere non sposati non è uno svantaggio, almeno dal punto di vista cognitivo. Divorziati e single sembrano conservare meglio le proprie facoltà mentali, e questo potrebbe suggerire nuove direzioni nella promozione del benessere nella terza età.

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