Non vuole restituire il PC aziendale: “Costa soldi e tempo”

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Non vuole restituire il PC aziendale: “Costa soldi e tempo”

| 26/01/2024
Fonte: Pexels

Nella sua piccola città non ci sono punti di ritiro

  • Orlenda, una giovane utente, ha condiviso la sua esperienza di licenziamento sui social, evidenziando la natura subdola del lavoro non retribuito
  • Dopo essere stata licenziata, ha cercato di restituire il PC aziendale, ma il datore di lavoro ha insistito affinché lei si occupasse personalmente della consegna
  • Orlenda ha sottolineato la presenza di forme più subdole di lavoro non retribuito, compreso l’uso del tempo e delle capacità senza adeguata compensazione
  • Ha raccontato la difficoltà di organizzare il ritiro del PC dalla sua piccola città e il rifiuto di pagare per le spese relative al licenziamento
  • La giovane ha riflettuto sulle varie forme di sfruttamento, inclusi doveri aggiuntivi basati sul genere o sulla provenienza, che spesso passano inosservati

 

Sui social, Orlenda, una giovane utente, ha condiviso la sua esperienza di licenziamento e ha suscitato una riflessione sulla natura del lavoro non retribuito. Nel videoo ha evidenziato che esistono forme più subdole di lavoro non retribuito, sottolineando come il tempo e le capacità siano spesso sfruttati senza adeguata compensazione. La storia di Orlenda si concentra sul suo licenziamento e sul tentativo di restituire il PC aziendale. Dopo essere stata licenziata, infatti, ha portato a casa il computer aziendale ma, quando ha cercato di programmare la sua restituzione, si è sentita dire dall’ex datore di lavoro che doveva occuparsi personalmente della consegna.

Questa situazione ha portato Orlenda a riflettere sulla natura subdola del lavoro non retribuito, evidenziando che va oltre il non essere pagati per ore di lavoro effettive. Ha sottolineato l’importanza di riconoscere le diverse forme di sfruttamento, inclusi doveri aggiuntivi assegnati in base al genere o al colore della pelle. Ma ripercorriamo quanto successo: “Mi hanno detto che da parte loro non organizzano mai il ritiro ma ho messo in chiaro che per me andare a spedirlo con UPS o Fedex sarebbe stato difficile. Cosa sarebbe successo se non li avessi contattati io per prima, mi chiedo? Non è possibile farlo nella piccola città in cui vivo perché non ci sono punti di ritiro e dovrei guidare per cinquanta minuti per inviarlo”.

La riflessione sulle forme più subdole di lavoro non retribuito

Nonostante Orlenda abbia spiegato il perché del suo comportamento, il datore di lavoro non ha cambiato idea. “Nell’email mi è stato detto, allora, di chiamare UPS per cercare di organizzare il ritiro direttamente da casa mia, dato che loro non sapevano come farlo. Io ho risposto, gentilmente, che non lo avrei fatto perché costa soldi, e non ho intenzione di pagare per le pratiche relative al mio licenziamento, e perché questo fa parte delle responsabilità dell’azienda in seguito all’interruzione del rapporto lavorativo, e non sono io a doverlo organizzare”.

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Da qui è partita una riflessione sul tema del lavoro non retribuito, con la giovane che ha sottolineato che è presente in varie forme che spesso passano inosservate. “Ci sono forme più subdole di lavoro non retribuito: l’uso del nostro tempo, delle nostre capacità, doveri aggiuntivi che vengono assegnati in base al genere o al colore della pelle, per esempio organizzare una festa in ufficio perché sei donna, o spiegare la storia del nostro Paese a causa della nostra provenienza”.

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