Maschio alfa e leadership: perché essere aggressivi non paga
- Il maschio alfa è un mito nato da malintesi scientifici e osservazioni di lupi in cattività
- Solo il 17% dei primati mostra dominanza maschile chiara, mentre nel 70% non esistono gerarchie fisse
- La leadership di prestigio basata su cooperazione ed empatia supera quella aggressiva
- Le donne non sono attratte dai maschi aggressivi ma preferiscono uomini sicuri, assertivi e sensibili
- La ricerca mostra che gli esseri umani non hanno caratteristiche tipiche delle società dominate dai maschi
Per decenni abbiamo creduto che l’evoluzione avesse stabilito gerarchie rigide: maschi dominanti che comandano gruppi di lupi, scimpanzé e altri primati. Questo concetto ha alimentato stereotipi sulla mascolinità e sul potere, insinuando che forza e aggressività fossero sinonimi di leadership. Tuttavia la scienza moderna dimostra che la realtà è molto più sfumata e complessa.
Uno studio recente condotto da Elise Huchard e colleghi ha analizzato 253 popolazioni di 121 specie di primati. I risultati sono chiari: solo nel 17% dei gruppi si osserva dominanza maschile, nel 13% dominanza femminile, mentre nel 70% delle popolazioni non esistono gerarchie fisse. La leadership non è quindi sinonimo di aggressività o forza fisica, ma spesso è il frutto di cooperazione e flessibilità sociale.
Leadership e prestigio: il mito del maschio alfa
Quando si parla di status sociale, la ricerca distingue tra dominanza e prestigio. La dominanza si esercita con intimidazione e coercizione, producendo relazioni instabili e conflitti. Il prestigio, invece, si basa su empatia, abilità di mediazione e cooperazione. I leader prestigiosi proteggono i membri più deboli, interrompono conflitti e ottengono rispetto senza usare la forza. Gli studi confermano che la leadership di prestigio è più efficace e stabile rispetto a quella aggressiva.
La storia del maschio alfa nasce da osservazioni sui lupi in cattività negli anni ‘40 e ‘70. Gli animali non imparentati tra loro sviluppavano gerarchie rigide, ma David Mech, autore dello studio classico sui lupi, ha riconosciuto decenni dopo che nei branchi naturali i lupi si comportano come una famiglia. Il termine “alfa” applicato agli esseri umani è quindi privo di fondamento.
Il ruolo delle femmine e l’attrattività
In molte specie, le femmine hanno un ruolo centrale nel determinare l’accesso alla riproduzione. Nei bonobo, ad esempio, le femmine controllano la scelta del partner grazie a segnali di fertilità meno prevedibili, riducendo l’impatto della competizione maschile. Questa dinamica mostra quanto la leadership femminile possa essere influente e strategica senza ricorrere alla forza fisica.
Anche l’attrattività femminile sfata il mito dell’alfa aggressivo. Studi dimostrano che le donne non cercano uomini dominanti e prepotenti ma preferiscono tratti come sicurezza, assertività, calma e sensibilità. L’idea di uomini aggressivi come modello di successo è quindi non solo errata biologicamente, ma anche culturalmente fuorviante.
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Implicazioni per la società umana
Le evidenze scientifiche sui primati hanno dirette implicazioni sull’essere umano. Gli uomini non possiedono armi naturali né dimensioni corporee che garantiscano il predominio. Le società umane funzionano più come le popolazioni di primati senza gerarchie rigide, dove la cooperazione, la flessibilità e l’empatia contano più della forza. Riconoscere questo mito come falso permette di costruire modelli di leadership più sani, inclusivi e realistici, sfatando l’idea che la mascolinità aggressiva sia sinonimo di successo.

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- https://www.corriere.it/animali/25_luglio_11/il-maschio-alfa-non-esiste-lo-conferma-uno-studio-sui-primati-a1df0396-65ef-4b84-bb36-d9fb7bc03xlk.shtml