Perché parliamo da soli?

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Perché parliamo da soli?

| 21/04/2023
Fonte: Facebook

Parlare da soli non è un segno di squilibrio: ecco perché

  • Il soliloquio consiste nell’articolare i nostri pensieri a voce alta
  • Quando pensiamo, un meccanismo cerebrale inibisce il movimento dei muscoli, facendo sì che le nostre riflessioni rimangano silenti
  • In caso di stress o tensione, tuttavia, questo meccanismo può diventare difettoso
  • Stando alle scoperte degli scienziati, il discorso interiore e il linguaggio si sviluppano insieme
  • La funzione di parlare da soli è molto utile: ecco tutti i suoi vantaggi

 

Su, forza, dite la verità: anche voi parlate da soli. Non c’è niente di cui vergognarsi. Al contrario, si tratta di un fenomeno piuttosto comune che dipende dal modo in cui è fatto il nostro cervello. Il soliloquio, infatti, non è altro che l’emergere all’esterno del cosiddetto “discorso interiore”, ovvero la principale modalità con cui prendono forma i nostri pensieri.

In un certo senso, infatti, sentire le cosiddette “vocine nella testa è normale”. Si tratta di quello che potremmo definire come flusso di coscienza, che ci aiuta a ricordare meglio le informazioni, a darci delle istruzioni da seguire o persino a incoraggiarci. Può capitare che questo discorso interiore dall’essere semplicemente pensato sotto forma di parole venga involontariamente articolato mediante l’attivazione del sistema fonatorio. Questo processo dipende da un meccanismo cerebrale che, nel primo caso, inibisce il movimento dei muscoli e, nel secondo, lo attiva. Quando ciò avviene è probabile che condizioni di stress e tensione abbiano preso il sopravvento.

Il nesso tra pensiero e linguaggio

Il discorso interiore è un fenomeno decisamente affascinante, poiché coinvolge una serie di questioni davvero complesse e misteriose che riguardano la nascita dei pensieri, l’autopercezione di sé e la natura della coscienza. Lo psicologo Lev Vygotsky scoprì che il soliloquio si sviluppa intorno ai 2-3 anni, insieme al linguaggio vero e proprio.

A questa età, i bambini parlano da soli senza alcuna remora o vergogna. Poi, avviene un graduale processo per cui smettono di farlo ad alta voce, ma continuano a darsi istruzioni e incoraggiamenti, dicendosi le cose tra sé e sé. La scienza, in ogni caso, ha dimostrato che non sempre il flusso interiore consiste in una serie di pensieri deliberati.

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Charles Fernyhough della Durham University, nel Regno Unito, ha condotto alcuni esperimenti di imaging cerebrale. A un gruppo di volontari è stato chiesto di riferire a cosa stessero pensando mentre si trovavano all’interno di un apparecchio per la risonanza magnetica. I partecipanti che hanno risposto di star intenzionalmente pensando a qualcosa presentavano l’attivazione cerebrale dell’emisfero sinistro, connesso all’emissione del linguaggio. Coloro che, invece, hanno risposto che la loro mente stava liberamente spaziando tra pensieri che non controllavano hanno mostrato l’attivazione di regioni cerebrali connesse alle percezioni uditive.

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