Sentenza storica di un tribunale: “Il pollice in su vale come una firma”

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Sentenza storica di un tribunale: “Il pollice in su vale come una firma”

| 10/07/2023
Fonte: Pexels

L’emoji con il pollice in su può essere considerata una firma

  • Una sentenza è pronta a fare storia
  • Ha infatti condannato un agricoltore per aver usato il pollice in su per rispondere a un contratto
  • La controparte ha ritenuto confermato il contratto, ma l’uomo non ha adempiuto alle condizioni
  • Il tribunale ha sostenuto che questa emoji può di fatto sostituire la firma digitale
  • Il caso è avvenuto in Canada

 

Siete tipi da rispondere sempre con l’emoji del pollice in su ogni volta che vi arriva un messaggio come se forse una sorta di “ok, ricevuto”? Forse è meglio prestare più attenzione al prossimo WhatsApp o SMS che vi arriva perché potreste trovarvi in guai seri. Secondo una recente sentenza canadese, infatti, questa emoji è considerata alla stregua di una firma digitale. Il caso che farà storia riguarda un agricoltore di Saskatchewan che è stato multato per aver usato l’emoji dopo aveva ricevuto un contratto via SMS. Chris Achter ha provato a difendersi, ribattendo che il suo pollice in su significava una semplice conferma di aver ricevuto il messaggio e non certo l’accettazione del contratto.

Il giudice però gli ha dato torto e così dovrà pagare 61.610 dollari per non aver rispettato le clausole contrattuali. Tutto è iniziato nel momento in cui Achter non ha consegnato 86 tonnellate di lino che l’acquirente di cereali Kent Mickleborough voleva acquistare nel 2021. Mickleborough ha voluto dunque intraprendere un’azione legale, vedendo intaccati i suoi affari. Ha spiegato di aver parlato al telefono con Achter del suo potenziale acquisto, specificando che voleva comprare il grano nel novembre dello stesso anno. Ha poi inviato all’agricoltore una bozza di contratto, scrivendo “per favore, confermi il contratto per il lino”.

Le motivazioni del giudice

Achter ha replicato con un emoji “pollice in su” e lui l’ha interpretato come un’accettazione del contratto. Mickleborough ha dichiarato di avere una relazione commerciale di lunga data con Achter. In passato l’uomo aveva accettato contratti tramite messaggi di testo e ciò gli ha fatto credere che l’emoji avesse concluso l’affare. Alla fine, però, l’agricoltore non ha consegnato il lino entro la data indicata. Achter, sotto giuramento, ha sostenuto che la sua emoji “confermava semplicemente che avevo ricevuto il contratto per il lino. Non era una conferma che io fossi d’accordo con i termini”. Il giudice ha ribaltato la sua versione schierandosi dalla parte di Mickleborough.

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Citando la definizione di questa emoji data dal sito Dictionary.com (ovvero che il pollice in su viene usato per “esprimere assenso, approvazione o incoraggiamento nelle comunicazioni digitali”), Timothy Keene è giunto alla sua decisione. Seppur la firma sia la “rappresentazione classica” per confermare l’identità di qualcuno, questo non impedisce di impiegare metodi moderni tra cui le emoji per confermare un contratto. In pratica, l’emoji può essere una firma digitale. La sentenza non offre spazio a interpretazioni: “Questa corte riconosce prontamente che un’emoji con il pollice in su è un mezzo non tradizionale per ‘firmare’ un documento. Tuttavia, in queste circostanze, si trattava di un modo valido per trasmettere i due scopi di una ‘firma’: identificare il firmatario, cosa che viene fatta utilizzando il numero di cellulare del signor Achter, e comunicare l’accettazione del contratto. Sono d’accordo che questo caso è nuovo (almeno nel Saskatchewan), ma questa Corte non può (né dovrebbe) tentare di arginare la marea della tecnologia e dell’uso comune”.

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